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Alek Sander

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sabato 28 maggio 2011

la luce nera dark light







Argolis, Τετάρτη, 8 Φεβρουαρίου 2006

*** Sabato 28 maggio ’11

Gennaro di Jacovo






La luce nera


Bark Light





Argos&Rufus editore

Kart Antika


*** Roseti, 8 febbraio 2006


alpha







Marcet sine adversario virtus …






Lucio Anneo Seneca





Nigra lux levior aere ac durior


Louis camminava in una valle dall’erba rada e verdissima, interrotta da ciuffi alti di steli dorati, da siepi di arbusti fronzuti e gremiti di bacche cremisi.

Il cielo era d’un celeste intenso e sereno, senza nuvole.
Basse all’orizzonte ed enormi due grandi stelle rossastre, Rigel e Betelgeuse.

Il pianeta su cui erano sbarcati era Petra, lontanissimo dalla Terra e molto più grande, ma con la stessa intensità gravitazionale.
Akrab si era comportata benissimo.

I suoi meccanismi perfetti non avevano deluso le attese.
Era in grado di prevedere, misurare, valutare e programmare itinerari, obiettivi, mete, percorsi e velocità, evitando ostacoli e insidie d’ogni genere.

Con sé non aveva portato quasi nulla.
Indumenti, vestiti, documenti, libri.
Tutto quello che gli serviva era nel suo Alter, compattato in milioni di impulsi, nel suo elaboratore Yle&Loi, inseparabile.

Al di là di ogni cielo terrestre, al di là d’ogni limite immaginabile, lontano da ogni oltre, da tutto e da nulla c’era Petra, il pianeta smisurato dove lo aveva portato la sua astronave Akrab.

Tornato a bordo, accese Yle&Loi e girovagò a lungo fra i ricordi e i progetti, finchè non ritrovò un racconto autobiografico che anni prima aveva caratterizzato molto la sua vita, determinandone anche un clinamen, una svolta importante se non fatale, come definivano i latini tutto quanto era voluto dagli dèi, da qualcuno o da qualcosa che sovrastava e condizionava le stesse divinità.

§

****
Louis ricordava come se fosse un sogno lontano nella notte e nella mente le lettere che invano aveva scritto per avere un minimo di giustizia.
Ma ormai tutto era un ricordo lontano, anche se non certo sbiadito nella mente.

Sulla Terra chiamavano ‘insegnamento’ tutta una serie di attività che servivano spesso più per far dimenticare che per far imparare determinate nozioni e concetti e per farli sviluppare e ricordare.

Si chiamavano ‘scuole’ poi certi edifici più o meno grandi, più o meno attrezzati e capaci atti ed adibiti ad ospitare gli utenti dell’operazione dell’insegnamento, gli ‘alunni’, i giovani uomini e donne.
In quelle sedi sarebbe stato necessario e opportuno raccogliere i giovani, divisi per età, convincerli con vari rituali – la spiegazione, l’interrogazione, il dialogo educativo – a starsene seduti in un silenzio relativo per almeno cinque, sei, sette ore per ‘insegnare’ loro varie discipline.
In effetti ‘insegnare’ in sé era impossibile. La struttura stessa dell’animo umano rifiuta qualsiasi ‘travaso’ cognitivo.
L’uomo ama ‘scoprire’ il vero e il falso.
Nucleo, madre dell’insegnamento, della ricerca e delle ‘scuole’ era stata la ‘biblioteca’, un’invenzione curiosa e geniale quanto primordiale e ingenua.
Si trattava di raccogliere in una stessa sede piccolissima o enorme un nucleo di testi scritti di qualsiasi materiale, dalla’argilla alla carta
Catalogare, ordinare, conservare.
Unica vera legge, conservare e proteggere.
Mai disperdere.
A poco a poco intorno al curatore dei testi si raccolse un gruppo di ‘lettori’ assidui.
Questi quasi si specializzarono nelle letture di vario genere. Si sviluppò lo spirito della universitas, dell’interesse verso una direzione precisa, pur conservando la cultura antica un assetto globalmente unitario e compatto.
La scienza, l’astronomia andavano a braccetto con le lettere e la poesia.
Poi, attraverso il tempo, le biblioteche erano divenute luoghi ritenuti noiosi ed erano state quasi disertate, abbandonate. La lettura era divenuta non creazione, amore e conservazione, ma prestito e fatica, noia.

Louis era stato bibliotecario diverse volte.
Forse lo era sempre stato, senza mai essere all’altezza certo dei celebri e geniali bibliotecari alessandrini.
Ma nelle scuole essere bibliotecario significava attirarsi l’antipatia di tutti.
Nessuno voleva leggere, né far leggere.
Cosa faticosissima, a parere di tutti, anche se nessuno lo ammetteva.
Nelle biblioteche i docenti soggiornavano per fare tutto e interessarsi a tutto, tranne che leggere e parlare di libri.
Il libro veniva preso in ‘prestito’, come il denaro, e restituito con estremo comodo e con tutto ritardo.

Tranne lodevoli eccezioni.

I docenti più coscienziosi, quelli che amavano la chiarezza, gli onesti per lo più poco inclini alle manovre di corridoio ed alle chiacchiere, quelli che veramente forse avrebbero, ammesso che fosse esistente, veramente applicato l’insegnamento, quelli venivano ibernati nelle povere biblioteche scolastiche.



Alba

Così cadere
dopo breve corsa
nella bocca nera
d’una fredda alba

cade piano in silenzio
timida acqua
e si gela
formando gelidi
ghiacci rampanti
destinati a durare
il tempo dell’alba

tempo statico infinito diafano
ora pieno di gabbiani improvvisi
e di rondoni futuri








Quando era di servizio la sera in biblioteca, nella grande scuola quasi deserta, da solo, pensava che in fondo in tutta la sua vita non aveva fatto altro che frequentare abitanti del Passato.


Tutti gli autori, gli scrittori, i poeti, o per lo meno la loro stragrande maggioranza, non erano più, eppure parlavano ancora con le loro parole, con i loro pensieri, con le lettere dell’alphabeto, esprimendo non sempre le stesse cose, perché ogni frase detta o scritta può essere interpretata in modi assai diversi.


Non si legge mai lo stesso libro, pur leggendo lo stesso libro.
Un libro è come un fiume.
Non è mai la stessa acqua quella che vedi, eppure sembra, superficialmente.


Buddha che lascia scorrere la ciotola sul fiume la vede navigare, piccola nave immensa, controcorrente, e in effetti nella novità della cosa c’è tutta la tradizione dell’itinerario consueto dell’arnese di legno.


E’ il vedere il contrario vedendo lo stesso ma non il medesimo.

***


Mentre rileggeva la sua ‘ultima lettera’, in biblioteca, Louis ripensava alle sue piccole grandi battaglie sulla riparazione delle ‘strutture di entrata, di uscita e di ricambio dell’aria’, come con una perifrasi a volte chiamava le salutari e banali porte e finestre.


Per una curiosa circostanza si interessava tanto proprio degli ingressi, delle entrate, che sono il principio della casa e di ogni edificio.
Era il dio Giano, bifronte, a proteggere gli inizi delle imprese, e quindi proprio le imprese, anticamente.

Era il dio della pace e della guerra, ma non come attività in sé, come stati alternativi opposti, come poli della natura umana, come fatali e prevedibili punti di partenza.


***

*










gamma














Louis componeva lettere immaginarie quasi per dialogare con un interlocutore assente, ma che lo impegnava dialetticamente ed emotivamente così da imporgli un contegno dialogico intenso ma non debordato.


Era come allenarsi con una canoa in vista di incontri anche meno impegnativi nel futuro, se ce ne fossero stati eventualmente.

Le sue espressioni non erano estremamente polemiche, ove ci fossero stati dei contrasti, cosa mai improbabile, e tuttavia una certa forza espressiva tradiva spesso una viva intensità emotiva, forti sentimenti e sensazioni ancora vive.

Anche quando fosse passato del tempo da fatti e avvenimenti che erano stati capaci di avviare processi affettivi complessi, sentimenti e ricordi.

***
*





delta


I J anno MMIII regnante Christo


Gennaro Jacovo –

Vobis, qui estis
Sanctissumus Benedictus
Sanctus Pater
Johannes Paulus Secundus – Romae

Benedicte, Sanctissume Pater,
Si Samnis Christianusque Pontii Pilati lingua Vobis loquor, mihi, Sanctissume Pater, iterum parcite.
Ter iam temporibus actis Personae Vestrae scripsi, atque ter sanctam benedictionem Summi Pontificis Romanae Ecclesiae ab alio pontifici sacerdoti libenter accepi.
Ter manum Vestram magis verbo, quamvis dilectum, malueram.
Hodie, multas per gentes et multa per aequora vectus, ad has, Pater, advenio
multas preces.
Multo tempore exacto Antoninus, Pater meus, terribili morbo ictus, horribile dictu, perisse visus est, nocte, Romae, ad Gemellorum hospitia, paucis praesentibus Sanctis Sororibus Christi.

Duos quasi ante menses, domi, Argentario in monte, Sancti Stephani, die matutino, dum candidi Soles fulgebant, avesque hirundinesque in aere volitabant, d. X ante K. Junias, Matre pro domo laborante, Patri Antonino, omnes juvenes mulieresque Benedicenti, maximam lucem in coelo super aequora ponti videre visum, mirabile dictu. Atque ‘Salve Regina’ clamabat Pater Ille suavissimus, me omnibus rebus cohortante.

Paucis diebus ante Mater Maria dulcissima ei visa suaviter ac breviter dicens:
… “malo apud Urbis tellurem, super Montem Argentarium sicut aut potius
quam Romae morari, quia viridem illum suavem silentium volo…
propterea templum mihi illic facite …”.

Haec omnia Vobis ter scripsi, omniaque verba scripta manu sua misi anno MIMICV regnante Domino Jesu, Kalendis quasi Septembris, tamen fugit hora, fugit inesorabile tempus, sed verbo Vestro magis atque magis careo, me miserum, bis sine Patre, non sine calamo, tamen.
Insuevit me Pater meus optimus. Insuevit Mater dulcissima.
Ad Pompeianam ecclesiam eadem, paucis diebus exactis, scripsi. Quia ipsa ecclesia Matri meae scripsit. Nondum rediit mihi verbum quidquam.
E vobis oro mihi verba de paterno ad omnes juvenes mulieresque amore, ut scripsi. Hunc miserum filium Vestrum, Alter Pater, succurrrite cito et velociter, Deo juvante.
Sanctissume Pater, secundus mihi sitis,  tamquam super dulcissumum Zephirus mare, et vocem per aspera ad astra fortem Patris mei Primi tollere velitis pro omnibus filiis amatissimis vestris, ut dicere nunc et semper possim: conticuere omnes, intentaque ora tenebant, dum Pater meus mirabile verbum amoris dicebat Romae Sanctissimo Patre secundo.
Mihi miserrimisque meis latina lingua scriptis verbis parcere opus atque onus Vestrum, Benedicte super omnes benedictos.
Tempus durissumum durat. Patientia nobis et pax, Vobis aeternitas atque vita.

Januarius Samnis

***
*
Gennarino di Jacovo
A Giovanni Paolo
Vaticano
Roma

Lo scorso anno ho inviato alla Sua Ragguardevole Persona, a cui del resto vado scrivendo dai primi anni ’80, una serie di lettere in Latino.
Mi giunse il giorno 22 maggio una lettera a firma Gabriel Caccia Assessor contenente una allusione a quanto da me a Voi da molto anni scritto a proposito dell’esperienza mistica di mio Padre Antonino ed alla mia veste umana e spirituale.
Si impartì anche in quell’occasione alla mia persona … ‘libenter’ … una ‘Benedictionem Apostolicam … tibi tuisque …’, come dice il testo, che contiene all’ultimo rigo un piccolo errore, che occorre Vi notifichi.
Una sera del 1978 diceste: … ‘se sbaglio, correggetemi …’.
Detesto correggere, lo detestavo anche quando insegnavo Latino e Greco al Liceo Dante di Orbetello, per questo ho atteso un po’,e Vi dico che mi pare proprio si dica ‘oblata’, non ‘blata’.
Comunque, non sarà considerato errore, vista la grande simpatia di questo mio Alunno così eccezionale, e tanto più bravo di me.
Sono un vero somaro nelle lingue.
Ma fu un somarello a scaldare Gesù e fu un altro somarello a portarlo nella Città Santa per antonomasia.

Non insegno più da qualche anno e curo una biblioteca scolastica molto fredda d’inverno.
Ma a me … ormai il freddo non dispiace.
Sono stato privato dell’insegnamento dalla incomprensione della Scuola, che tuttavia amo e servo ancora.

Ad Orbetello il Vescovo Giovanni D’Ascenzi mi cresimò. Avevo trentatré anni.
Il Vescovo Eugenio Binini mi nominò Coadiutore del Centro Culturale Tre Fontane. Ma la mia sete è grande, perché il parroco di Orbetello, Carrucola, che firmò l'atto, se ne dimenticò presto.

Ma le nomine della Chiesa sono eterne. Non ho le chiavi della biblioteca del palazzo abbaziale di Meini, ma il mio cuore è lì, nella cappellina dove fui cresimato, alla presenza di Mamma Ines Carosella di Jacovo.

Il mio giogo è leggero e il mio peso è soave.
E’ scritto lì.
Vi spedisco, mio Alunno e … collega amante dello sport sano, mio Compagno di Squadra, tutto quello che ho scritto.
L’ho scritto per il bene, anche se pare un po’ intriso di malinconia.
Ma non è forse vero che Gesù amava qualcuno che gli lavasse i piedi con le lacrime e glieli asciugasse con i capelli?

Dalla malinconia nasce il riso sincero e il sorriso, dal caos nascono le stelle.
Dio è nato dal dolore e dalla persecuzione.
Ho conosciuto molti uomini della Chiesa e mi hanno detto sempre di andare avanti, nonostante le salite, il dolore.

Ho sempre considerato i miei Alunni quasi dei Professori, e adesso perdonatemi, se Vi ho chiamato mio Alunno.

Nel romanzo Hirundo, verso il finale, si parla dell’esperienza vissuta da mio Padre e me, suo modesto … testimone e segretario.

Nel romanzo Rufus Miles, o Samnis, si parla della didattica, dell’insegnamento e dell’amicizia, nonché dell’amore per la Natura (Monsignor Eminente Caccia mi consenta, ma sono davvero non solo contro la caccia, ma decisamente a favore degli Animali).
Nel dialogo\saggio Il Ricatto Silente si parla del tema della validità o meno dell’insegnamento.

Poi ci sono lettere in difesa della mia attività, della mia persona, che non ho inteso fossero avvilite troppo.

Non mi ritengo una vittima, tamen ‘cupio rerum cognoscere causas’, e quindi sono un cercatore di felicità, altrui e mia.
Credo di avere espresso abbastanza.
Nel 1984 spedii il mio libretto di poesie giovanili, Le Foglie del Nespolo, che forse è nelle vostre biblioteche (tanto più belle e eleganti e ricche -–di volumi – delle mie … ) edito da Quinta Generazione di Forlì.
E’ in biblioteca a Forlì ed a Grosseto (Chelliana).

Nel CD che spedisco e che contiene la narrativa di cui parlo sopra si trovano anche diverse poesie.

**

Debbo permettermi di fare anche osservare che la Vostra Benedizione è assai speciale e comporta anche responsabilità enormi.


Essa è rivolta ‘a me e ai miei’.

Ma chi sono i miei? Solo i miei pochi parenti e amici, o tutti gli Uomini, gli Animali, gli Oggetti stessi del Cosmo?

Nell’anno che è trascorso ho cercato di estendere con la dovuta e ragionevole moderazione di cui sono capace, almeno sul piano formale, a tutto e tutti il Vostro Voto Augurale, il Santo Auspicio, e adesso mi trovo ad avere una Famiglia smisurata, troppo grande per abbracciarla, certo, ma ancora troppo piccola per non essere considerato da tanti un ‘individualista’, e ancora tutta … da conoscere.
Non abbiate paura, che non voglio certo esagerare.

Cercate di stare bene, anzi, benissimo, e se volete conoscermi, mi trovate facilmente in Agosto a Porto Santo Stefano, tel. 0654 \ 818.717, via Aia del Dottore n. 12, o a Grosseto, via Trento 54, tel 0564 \ 29019.

Oppure semplicemente al 328 \ 0474786.

O, infine, dal 1° Settembre, alla Biblioteca Itc GR

Di nuovo perdonatemi, e consideratemi pure, absit injuria verbis, il povero e umile ‘professore del Papa’.
Un professore che non Vi costerà assolutamente nulla e che farà anche molti errori per emettervi a Vostro completo agio.

Vi abbraccio e, naturalmente, ut ita dicam … cristianamente e quasi anche di riflesso, nello specchio della Vita in cui le nostre immagini si fondono pur distinguendosi l’una dall’altra perché ‘irripetibili’, con la piccola ‘autorità’ che da Voi stesso mi viene, … Vi considero senz’altro uno dei Miei, decisamente quello di gran lunga il Vero, Solo ed Unico sinceramente Benedetto.


Grosseto, 3 agosto 2004


Gennaro Jacovo



***
*

Queste erano alcune delle lettere scritte a Giovanni Paolo II, Pontefice Massimo.
Riguardavano l’esperienza avuta insieme a suo padre, nel maggio del 1971.
In quel periodo il padre era malato.
In un breve soggiorno a Porto Santo Stefano, vide una grande luce sul mare, fra il promontorio e la terraferma.
La notte precedente padre e figlio avevano parlato a lungo.
Antonino era sempre stato un amico, un compagno di sport e di studio.

Il figlio avrebbe continuato sempre a considerarlo tale e lo avrebbe portato sempre con sé, quasi come un compagno di squadra la cui presenza, impalpabile, era evidente solo al suo cuore e agli occhi misteriosi e arcani che vedono quelle cose che in effetti non si vedono, ma restano oltre ogni immaginazione e materialità presenti e vive.

***
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*


Le cose ci parlano di chi le ha possedute, di chi le ha amate possedendole non solo per il gusto di averle.

Chi ama qualcosa, le dà una vita, la rispetta come una persona, la cura e provvede alla sue esigenze.
E’ importante ‘essere’ la cosa, lo strumento, che si possiede, più che possederlo e averlo.

Così il musicista ‘è’ il suo strumento e la sua musica, il medico è strumento e farmaco, l’insegnante è la sua penna e la sua carta, la sua frase, Dio è l’ordine del suo Universo, il Logos, la Struttura stessa della materia, gli Angeli sono parola nuova e messaggio, il padre è il figlio e il figlio è tutto quel che il padre compie in lui e per mezzo di lui.

Così noi tutti siamo quasi una sola cosa e una sola persona, legati da una miriade di legami e di vincoli e la solitudine e la morte non sono che due momenti arcani per mescolarci con il tutto, senza privilegiare nulla e nessuno.

Quando siamo soli, nessuno è con noi e noi possiamo essere in eguale misura insieme a tutti e a tutto.

Quando uno di noi muore, ciò che era la sua materia si fonde di nuovo con tutte le cose, torna polvere e oggetto fra la polvere e gli oggetti, ritorna alla sorgente, diventa cosa senza un volto, non più maschera, ed in questa estrema comunicazione si esaurisce lo spettacolo sulla scena dell’uomo, visto che ‘persona’ era anticamente la maschera degli attori teatrali.
L’uomo quindi è sempre in comunione con tutta la realtà intorno a sé.

Quanto volle far capire Cristo, ai suoi discepoli.

Che Lui era sempre con essi, e che dovevano assaggiare il pane ed il vino insieme, nella comunione del ricordo delle Sue Parole, e realizzare il cuore della legge, ossia ... amarsi come fratelli ... e realizzare quindi realmente la giustizia, la pace.




Per molti, questa raccomandazione si era trasformata alquanto sbrigativamente nell’atto di assaporare un’ostia come se fosse la carne di Cristo, mettendo in secondo piano la valenza sociale e politica della sua frase profondamente allegorica, come del resto tutto il Suo modo di parlare ... ‘questo è il mio corpo, fate questo in memoria di Me ...’, ove si può intendere che il ‘corpo’ è, sì, lo stesso Dio, o Cristo, ma come parte di quell’Universo di cui ha voluto far parte, di quella materia in cui torneremo un giorno, per mescolarci ancora con essa, come nella Madre primigenia.





Il pane è l’antonomasia del nutrimento, quindi simboleggia, è vita e lavoro e Cristo è il Figlio, ossia l’essenza stessa del Padre, creatore della materia e generatore del Figlio stesso.


Il Padre ed il Figlio partecipano, sono in ‘comunione’, rappresentano una ‘unione comune’, e noi possiamo partecipare insieme ad essi a questa unione, alla comunione quindi con la materia, con lo spirito, sua natura complementare e collaterale, con Dio stesso e con Cristo, e possiamo quindi e dobbiamo volere essere uniti ai nostri fratelli, generati insieme a tutta la materia e a tutto lo spirito, ma dobbiamo insieme a tutte le creature viventi amarli, servirli, altrimenti tutto il nostroatteggiarci solamente liturgico diviene una vuota ed ipocrita formalità, tanto più dannota in quanto può ingannare chi ci vede e può essere fuorviato dal nostro atteggiamento lontano dall’indirizzo sociale delle parole di Cristo.



@r@r& …








epsilon




Non era mai stato depresso.
Di questo era certo.
Su questo poteva anche fare dello spirito innocente …
Era stato, invece, amava pensare, soppresso, represso, forse anche cipresso, come quegli alberi verdi e svettanti che cisìrcondano le belle ville di Fiesole, del Chianti e delle campagne in genere di stile toscano.

Alberi associati al pensiero del passato, dei cari partiti per il viaggio di chi non porta i bagagli.

Eppure qualcuno lo aveva giudicato tale.

Chi è veramente depresso?
E perché?

*
Depressione, deprimere.
Pressione.
Di cosa?
Come al solito per questo termine il linguaggio si comportava facendo riferimento a qualcosa di assai pratico e materiale per indicare uno stato anche astratto, impalpabile ma connesso strettamente con la materialità.
L’uomo, l’animale che sostanzialmente è e che si sforza di misconoscere, dipende strettamente dalla fisicità delle cose, ma si crogiola nell’illusione di godere d’una esistenza e d’una dimensione spirituali, impalpabili e astratte.

Crede di avere un’anima, di essere il figlio prediletto d’ogni divinità e che questa si sacrifichi sempre per lui, nonostante le sue evidenti e immense colpe, la sua voglia di rinnovarle, la sua inimicizia stessa per ogni forma di tranquilla e serena esistenza.


Ecco quindi il sogno dell’uomo, la sua aspirazione all’eterno, all’intramontabile luce d’una vita ultraterrena immaginata come una proiezione fisica e materiale di questo mondo in un altro, fatto di colori chiari e luminosi, popolato di figure galleggianti fra nuvole bianche, eppure materiali e solide.

Questo miscuglio di leggero e di pesante era tutto quello che l’uomo poteva immaginare per raffigurarsi una dimensione ‘spirituale’.

Gli eventi favorevoli della vita contribuivano a fornire la giusta ‘pressione’ al sua atteggiarsi complessivo, come se fosse un pneumatico d’automobile fornito di precise indicazioni a proposito a cyra della casa costruttrice.

***
Naturalmente, una fortuna troppo fausta poteva indurre a forme di euforia, di benessete indotto o di ‘ottimismo’ eccessive, e questo conteneva il rischio di sopravvalutare le prorpie capacità, con una insita attitudine a futuri insuccessi dovuti alla scelta di situazioni e avversari insostenibili.

Una serie negativa invece di eventi negativi dovuti a cause individuali o contestuali poteva portare ad un atteggiamento misto di cautela, prudenza e quasi timore di qualsiasi scelta, tanto da comportare una lentezza evidente nelle necessarie risposte che la vita richiede incessantemente.
Questo atteggiamento di lentezza critica, ossia di scelta, faceva assumere all’individuo colpito da una serie di fattori deprimenti un particolare atteggiamento quasi sonnolento e letargico che aveva fatto scegliere per lui l’attributo pneumatologico di ‘depresso’.

E’ rilevabile però che la ‘depressione’ non è altro spesso che uno stato di prostrazione e stanchezza quasi atletica dovuta all’aver dovuto affronare compiri troppo faticosi, di fronte ai quali vuoi per generosità, vuoi per semplice fretta, vuoi per le pressioni del contesto ambiente non si è stati capaci di dosare adeguatamente le forze.


Dosare le forze, poi, è cosa che solamente gli egoisti puri riescono veramente a fare.

***
Gli atleti del corpo e dell’anima, i generosi, si accorgono dopo di avere eventualmente speso troppe energie, e quindi possono cadere in uno stato di pseudodepressione, dovuta invece all’ostilità ad alla osticità delle prove affrontate, a volte anche alla persecuzione contestuale scatenata nei loro confronti.


LE GATTINE di Anna Maria Vittori di Jacovo

Erano tre gattine che saltellavano nella macchia, due bianche e nere e una tutta nera. Tre batuffolini di allegria e di affetto.
Tre piccoli folletti che apparivano all’improvviso dall’ombra verde.
Così piccole e perdute nella grande macchia oscura.

Sono state la parte più bella di noi, gioia di vivere, capacità di amare, scherzo e curiosità di sempre nuove scoperte.
Ci hanno donato il loro affetto senza un perché, contente di quanto riuscivamo a dare loro.
Le abbiamo prese con noi e sono diventate parte del nostro progetto di vita insieme.
Non ci siamo subito resi conto di quanto ci fossimo attaccati a loro.
Non dimenticherò mai quando nel giardino di Santo Stefano sono salite per la prima volta sulle mie ginocchia. Avevano già tre caratteri diversi: più curiosa e avventata Silva, dolce e timida Iole, calma e assennata Loi.
Poi Iole è sparita ed ha lasciato dentro di noi una ferita profonda.
Le due gattine rimaste erano la nostra gioia, facevano le fusa appena ci vedevano, ci aspettavano sul pianerottolo quando ritornavamo a casa, si buttavano a pancia all’aria per farci festa, mentre qualche volta Silva si nascondeva dietro lo scalino e si vedevano solo le orecchie e gli occhioni gialli.
Loi aveva dei grandi occhi dorati ed era la prima a venirci incontro e a salutarci. Facevano i salti al di fuori del finestrone della cucina per vedere se eravamo lì e miagolavano per chiamarci.
A volte per aspettarci si mettevano sopra le colonne del cancello, una di qua, una di là come due statuine.
Quando Loi saliva sul tetto della loro capannuccia e non riusciva più a scendere Silva veniva a chiamarci perché la venissimo a prendere.
Ora insieme a Loi è andata via una parte della mia vita, ho perso una creaturina che mi voleva bene e mi ha dato tanto affetto e gioia, resterà insieme alla sorellina perduta sempre dentro il mio cuore. Il loro sarà un ricordo bello e triste insieme.

Maris pecten


carezze assolate di lontane mani mai riconosciute
e sorrisi d’ una vita assiderata in lontane pianure
di nevi e di ghiacci bianchi e taglienti
ruote rotonde di volventi gomme
e irti vetri insidiosi
sotto la polvere
e sul brecciolino ruvido
mentre tu camminavi solenne
ispezionando il tuo vasto regno di ricordi
e le zampe fitte delle sedie di legno

avevi un canestro verde di pettini e di spazzole
per farti luccicare come il mare di Napoli
il tuo mantello nero
ma non sempre ce lo permetteva
d’usarle Re Kbbell


quanti temi e versioni da correggere
e quante relazioni lunghissime
eppure
adesso ti dico che allora
… “un’onda poteva pettinare il Mare
e incanalarci in saldo sentiero …”



Loi

Piccola loi
quando mi vedi sali
sul mobile di legno
in fondo al letto
e miagoli a scatti
come se tu fossi un piccolo cane
e volessi abbaiarmi ...

Il tuo modo di miagolare è così tremolante poi
quando avvicino la mano
e fai capire
di volere ch’io ti accarezzi ...
Ti ho trovata in un bosco
vicino al mare
in alto sopra il monte verde
in un giorno caldo e pieno di sole
mentre in bicicletta
salivo su ...
Rimasi incantato da tre gattine
una nera
le altre nere e bianche
che saltellavano verso di me
come tre piccoli angeli agili
eleganti
e socievoli

Le mie gatte
di Anna Maria e Gennarino

le mie gatte hanno gli occhi gialli
e il colore del giorno e della notte
ci aspettano quando usciamo di casa
e a volte ci seguono di sera

non appena avvicini la mano
ti fanno le fusa
e si gettano a pancia in su
una si acquatta e simula un agguato

l’altra ti festeggia
quella che ha una maschera nera
come Batman

le mie gatte hanno bisogno di cure
da quando le ho trovate
in un bosco verde e scuro

sono abituate a vedermi vestito da ciclista
perché così mi hanno visto la prima volta
di un mattino di Agosto

in un paese dove c’è sempre il sole
e tanti scogli a picco sul mare

dove passano navi bianche
e i delfini saltano sopra le onde

le mie gatte sono sempre con me
e fanno le fusa nel mio cuore
il mio cane le ama
e si lascia pettinate dalla loro coda

***
**
*
L’interruzione di uno stato a cui ci siamo affezionati, che sia bellissimo o meno, ci provoca dolore, ansia d’un ritorno impossibile, attesa che non finirà che in sé stessa.
Il superamento di questo stato comporta l’assimilazione dell’ansia, la fine d’una situazione di staticità affettiva.
Ma comporta anche una qualche crudeltà per la persona, la cosa che non c’è più se non dentro di noi, nella memoria.
Non esercitare questa sorta di crudeltà necessaria in qualche modo alla continuazione della vita ordinaria vuol dire ostinarsi a conservare vivo un grappolo di ricordi che non trova più il referente fisico nel contesto.
E’ una specie di continuazione delle azioni della vita, dei suoi sentimenti e affetti, un atto di riverente rispetto che di solito infastidisce chi intorno a noi ne è testimone.
Certamente, si potrebbe sospettare che un eventuale simile atteggiarsi sia dovuto ad un sentimento di colpa per qualche azione inopportuna commessa precedentemente, oppure ad un tardivo senso di devozione.
Oppure si potrebbe pensare ad una specie di quasi egoistico senso di autocompiacimento nostalgico.
Fatto sta che in presenza di una lunga permanenza del rimpianto per una persona o una situazione perdute noi ci troviamo di fronte al permanere stesso dell’influenza di quella persona, quella situazione.
E’ una specie, per qualcuno addirittura ‘patologica’, di immortalità concessa a chi ci lascia per qualsiasi motivo in modo più o meno permanente e consistente nel continuare ad in fluenzare obiettivamente la vita stessa, non solo il pensiero, di chi la ricorda costantemente e ne ricorda i consigli, le parole, i precetti.

Dopo questo consumarsi e limarsi, come d’un ciottolo di fiume,
arriva un giorno e ci si trova come vestiti d’un vestito nuovo e scintillante,
circondati di una luce soffusa e senza ombre, e quasi ci si illude di sapere cosa fare.
Si prova la sensazione di essere ormai parte di quella persona perduta, di quella cosa o situazione, e di ‘dovere’ agire anche nel suo interesse, magari a costo anche di fare il proprio danno, in qualche caso.
E si poteva forse perdere la cognizione dell’entità di questo danno.

Per l’amore di una dimensione perduta, rivissuta nella memoria e nel cuore, per il recupero memoriale e affettivo d’un mondo finito, ci si poteva perdere nell’infinito d’un futuro imprevedibilmente vago, ma capace di affascinare ed attrarre come contrapposto ad un presente effimero e svilito, privo di attrattive, seppure certo e pseudorassicurante per gli aspetti essenziali.


Questa oscillazione fra uno stato di rassicurante e quieta pace ed un altro di incerta e pericolosa guerra è simboleggisata nel mito latino dal volto duplice di Giano, il dio della pace e della guerra.


Eppure, la guerra non è sempre violenta e distruttrice come si crede, a volte è solo una guerra latente e simbolica, come la pace non sempre è feconda e ricca di frutti saporiti: spesso è un malinconico e piatto trascinarsi da uno stato letargico ad uno se possibile ancora più passivo e statico.


*


Le apparenze non ingannano mai. Scompaiono e fanno posto alla sostanza ed all’essenza, che sono folgoranti di luce deleteria.

Fra la guerra e la pace e le loro parvenze effimere, c’è un muro di segni arcani messi sopra pagine di carta.


Dentro quattro di queste mura, o al riparo d’uno solo di essi, è possibile illudersi di avere una pace cordiale e serena come un cielo di aprile.


**** La nostra biblioteca

Sei sempre stato amante dei miei libri
e delle buone letture o faticose che facevo
nella casa del mare … parva sed apta tibi
sedevo per interi pomeriggi
e tu mi facevi compagnia
sdraiandoti nella piccola branda sotto lo scrittoio
come un precettore paziente:
mi vegliavi fino alle ore della notte
e qualche volta uscivamo in quelle ore buie
a contare le stelle lontane fredde e belle …

***
Mi manchi
Argos
e dal vetro del grande corridoio
accanto alla nostra biblioteca guardo la luce fioca
della tua ultima casa
ed è come se il tuo grande Spirito fosse sempre con me
e la tua forza sostenesse il collare amaranto
che ti ho comprato l’estate passata
e che metto al mio collo ogni tanto
perché sarò il tuo cane umile e fedele
e tu sarai per sempre il mio pastore:


portami tu lontano
tirami forte ancora con la tua grande mano
sostienimi bene sopra le tue braccia
come facevo io con te
quando eri piccolissimo
e ti portavo in collo
nel paese del mare
dove per tanti anni
hanno sorriso ai nostri sogni
.

*** ***
***

Dormi adesso mio caro pastore
e assai veloci passeranno le ore
come un tempo sorvegli
che io lavori
che io legga e che scriva
aspettando che venga il giorno
che lasciati i miei libri io ti ritrovi




sorveglia questa stanza colma di volumi

amico mio di sempre
mentre io leggo vedo ancora la tua culla
se tu sei qui per me non mancherò di nulla



***

Un tempo tutto il sapere era affidato a oggetti composti di numerosissimi fogli, e prima ancora da tavole di argilla, lastre di pietra, frontoni e colonne, rotoli d’una unica striscia d’una carta speciale, forte, raffinata ed elastica ricavata dalle foglie del papiro.
Erano oggetti strani, da conservare dentro scaffali appositi, ma potevano anche essere trasportati e conservati nei luoghi più disparati,
C’era chi li teneva accanto al letto, nel bagno, come fossero delle miniterme romane, in giardino, in auto e in aereo.
Tutti ne avevano una bella scorta, ma in definitiva pochi trovavano il tempo per adoperarli.

Si adoperavano tenendoli ad una trentina circa di centimetro dal viso, con gli occhi fissi su di essi, pronti a decifrarne i segnetti neri o colorati, o le immagini.

Non era agevole restare per ore attenti a quei codici, perché questo erano, simboleggianti concetti, oggetti, rapporti, modalità.
Pochi a dire il vero sapevano resistere, straniarsi a poco a poco dalla realtà ambiente, quasi dimenticare amici e parenti e tuffarsi nel mondo delle lettere, della narrativa, della saggistica, o anche del sapere scientifico e tecnologico.

Era un rischio, quello di isolarsi, se isola è rischio, visto che tutte le Terre lo sono, e ritrovarsi un giorno come uno dei più illustri dei biblionauti, un certo Giacomo ... dei Leopardi da Recanati nelle Marche.
Curiosamente, dopo una adolescenza vissuta a leggere e studiare, si era ritrovato incapace di intrattenersi comunemente con gli uomini, incapace di comunicare con la vita comune, persino privo di un semplice titolo di studio, di un riconoscimento che tutti finiscono per avere, dopo tanto studio.
Ma il suo era lo studio di Ulisse, che per sfuggire all’isolamento cerca un’isola, era stato uno ‘studio matto e disperatissimo’.

E’ strano, ma fino a un certo punto, che l’uomo più intelligente, ed il più scaltro, abbia impiegato tanto a tornare a casa, e la sua casa non era il centro degli achei, non era Micene o Tirinto, ma era Itaca.


Lì era il suo Argo ad attenderlo, e lì immaginiamo ancora che siano Ulisse, Penelope, Telemaco ed Argo, con il buon Eumeo.



Per Ulisse, Itaca, un’isola, era la meta ideale per trovare tutto il mondo ed in un certo senso era stato questo, con un eccesso ed una sazietà di rapporti caotici a determinere il suo isolamento.

Cercare un’isola per non essere isolati.



Louis rifletteva su questi apparenti paradossi.
Leggere, si chiamava proprio così l’operazione che facevano gli uomini un tempo con gli oggetti portatori di informazioni chiamati in definitiva ‘libri’.
Ma leggere era faticoso, con tutte le alternative che si presentavano.
Solamente anticamente poteva essere considerato l’unico e quasi privilegiato tramite fra la filosofia, tutto il sapere, e la realtà ambiente, fra la memoria del sapere e la sua tecnologica e pratica applicazione alla vita tangibile.
E c’era voluto del bello e del buono per riuscire a classificare il concetto stesso, vastissimo, della realtà.
Molti confondevano questo concetto, che in sé non fa neppure parte della realtà pratica, in quanto astratto, con quello del contesto.
Il contesto è tutto quanto ci si costruisce intorno, come un tessuto, come un bozzolo intorno a un baco e per questo motivo rischiamo di esserne anche soffocati.
In ogni caso ne siamo potentemente condizionati.

Cose, fatti, persone, idee e pregiudizi, opinioni altrui, tutto ci piove addosso e si posa come neve, o grandine.

E dobbiamo trovare una via, evitare di restare sommersi, di scivolare, distinguere il nostro dall’altrui, regalare il nostro ed accaparrarci l’altrui, copiare, far copiare, proteggere qualche idea come un amante geloso.

Offrirla come una cortigiana o donarla come un santo, al vento ed
agli animali, prima ancora che agli uomini, che sono sempre ultimi nell’apprezzare quanto viene offerto senza prezzo deciso.


Il contesto era il reticolo, la matassa, il bozzolo in cui si trasformava ogni rapporto con il mondo esterno. Era un tessuto ideale e reale in cui era reale l’ideale e ideale il reale.


***



La realtà invece era tutto, persino irrealtà.
Sarebbe stato impossibile ipotizzare invece un contesto decontestualizzato.
Esso spariva di fronte al suo contario.
La realtà, invece, che ra in definitiva Dio, si realizzava prorpio di fronte alla sua negazione e distruzione. Alla sua crocifissione.
Risorgeva, riprendeva una vita che non era quella perduta, ma una nuova e più tenace, più viva quasi.


**


La realtà comprendeva anche la non realtà, come Cesare era padre del suo assassino, e Cristo rabbi anche di Giuda, suo discepolo.

Il contesto invece ammetteva solo se stesso ed il groviglio che ne consegue.


La realtà dava vita, mentre la toglieva.

Il contesto nutriva e proteggeva, ma quando esiliava. ostracizzava, uccideva era solo per fare questo.

***

Molti erano stati i tentativi di ribellione, di dissenso verso il contesto, o verso diversi contesti.

Di Abele e di Remo, di Socrate e di Cristo, fino a quello che si poteva considerare, ed era considerato ormai a conti fatti, il sedicesimo dissidente.

*** The sixteen chapel



zeta










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C’era stato un periodo, nella storia dell’umanità fino all’età di Louis, in cui qualcuno si era convinto che fosse possibile conservare la cosa più caotica e sfuggente, la più insidiosa e maliziosa.
La più astratta.
E che fosse possibile raccoglierla in contenitori materiali, complessi, articolati.


Pensare, escogitare inganni o formule per facilitare la vita, piani di attacco, o anche di difesa, sognare e lasciarsi andare ai ricordi, progettare, tutto questo avveniva senza un apparente piano lineare e ordinato, nella mente.

O meglio, nella mente l’ordine era inafferrabile, l’ordine ed il caos erano la medesima cosa.
L’ordine umano, metodico, matematico uccide la fonte del pensiero, l’intuizione, che è improvvisazione e fantasia.
Eppure, occorreva togliere, eliminare, incasellare per conservare qualcosa dei pensieri, che altrimenti sarebbero fuggiti, spariti,

Così, dopo centinaia di migliaia di anni di preistoria e di invenzioni tecniche e pratiche, l’uomo si scoprì letterato e filosofo, dotato d’uno spirito superiore rispetto a quelle che lui definiva bestie.

E fu un particolare minimo a fare dell’uomo, animale fra gli animali, il figlio di Dio, ma anche il suo maggiore bestemmiatore, se non persecutore.

La lettera dell’alfabeto.

Se Dio era l’alfa e l’omèga, l’uomo divenne il mescolatore e l’alchimista di tutte le lettere, tanto da raccontare in cento modi diversi la stessa storia, annullando lo stesso significato della parola ‘storia’, venerata come sacra e immutabile ma trasformata e strapazzata a piacimento, a seconda dei gusti, delle ideologie, del momento.
L’ alfabeto divenne lo strumento semplice, ma anche infinitamente complesso insieme al linguaggio, per realizzare la conservazione e la trasmissione della verità presunta, proposta e imposta dall’autore dei testi.

Ed anche il linguaggio, escogitato da un dio o da un demone, era tesoro esclusivo dell’uomo, secondo la sua infinita presunzione.


Ma tutti gli animali ne hanno uno, e si capiscono fra loro, senza dover usare alfabeti e vocabolari, non esistono lingue straniere per gli animali, né complicate sisntassi zeppe di eccezioni e di regole astruse, scritte o mnemoniche.


Che sia una facoltà innata il linguaggio, è platonica intuizione geniale quanto superflua, e Dio sa quanto sia indispensabile per l’uomo il superfluo, assai più del necessario, che è solo aria, acqua. fuoco e pane.

Certo, sarebbe davvero cosa straordinaria se l’animale ‘homo’ fosse diventato ‘sapiens’ senza possederne i requisiti genetici e programmatici, come una nave che si mettesse a volare diventando astronave senza nessuna modifica, come un pianeta che si facesse stella, aumentando a dismisura di volume, iniziando un complesso processo di autocombustione atomica.

Certo, nulla si trasforma in ciò che non è già potenzialmente.
Nulla è detto comunque che effettivamente divenga quel che potenzialmente potrebbe.

Tutta l’umanità, comunque, è come se fosse un organismo unico, composto da una miriade di individui.
Soltanto ad una certa età ha escogitato il linguaggio, diviso in migliaia di lingue, dialetti e linguaggio personali e di categoria.
E solo da poco ha trovato il modo per fissare i pensieri, letterari e tecnologici, con gli alfabeti elementari e con i mezzi legati ai computers. che non fanno che ripetere le elementari regole della carta e della penna, aumentando di molto gli spazi capaci di contenere i testi.
***
Così, il pensiero libero e senza confini fu imprigionato e serrato in poche decine di segni, tranne che per quelle parti della Terra ove gli uomini preferirono continuare a ‘disegnare’ le parole, una per una, senza usare simboli fonici capaci di sintetizzare e semplificare ogni fonema.


Ma in ogni caso e con qualsiasi sistema, la mente ebbe la sua scuola, la sua prigione, la sua gabbia.


Fu così che nacquero le prime opere scritte della letteratura.

Fu così che nacque in pratica la storia in quanto memoria scritta e controllabile.



Ma restò nell’animo umano l’infinito, il caos, restò l’amore per la libertà, con le sconfinate terre del logos, ove ci si perde, ove non esiste confine capace di segnare l’appartenenza del privilegio.



E malgrado la nascita di categorie e generi nella letteratura, nella storia, nella religione, restò un territorio vastissimo affidato al desiderio del viaggio verso le zone sconfinate, dove non è poesia, né racconto o qualsiasi gabbia e forma, ma illimitato e vagare, oltre le lacrime e verso il
sorriso.


Le pianure della satira sono nel cuore dell’illimitato.


Ma ordinariamente, non si consiglia di avventurarvisi, pena la malevola reazione dell’umanità contestuale, dell’ambiente immediatamente circostante.


Louis aveva praticato il sogno e la poesia e si era avventurato nelle terre della satira.

Ne aveva tratto un parodia di Carta statutaria d’una immaginaria scuola d’un immaginario paese immerso in un contesto faceto e scanzonato di paesi immaginati come popolati da gente perfetta che si recasse a scuola per disimparare e peggiorare la propria dote di naturale bontà ed ‘u-manità’.


***
Osservare il comportamento proprio è un dovere, quasi mai un piacere, eccetto in casi quasi patologici.

Osservare quello degli altri è inevitabile, se non altro per il numero enorme delle persone animali con cui abbiamo a che fare.

Quando il nostro comportamento per qualche motivo diviene parzialmente o anche eccessivamente vizioso, noi procediamo verso la conoscenza migliore e la tolleranza degli altri.

Ma se dai vizi, che portano comunque sempre ad una eccessiva spossatezza, noi ci avviciniamo alla virtù, fosse anche per la fatalità dell’esperienza d’una specie di vizio estremo, quello della lontananza dal vizio, allora assumiamo un atteggiamento sentenzioso e severo, ma anche a volte ironico e in certi casi quasi sboccato ed esagerato.

Così nelle lettere moraleggianti abbiamo lo stile a volte delicato altre anche triviale di Orazio, lo stile aspro e tenace di Lucilio e Giovenale, altre quello oscuro ed ermetico di Persio.


Così Dante a volte è limpido e leggero come il volo delle colombe Paolo e Francesca, altre è duro, forte, perché come il vento vuole colpire ‘le più alte cime’.



In effetti, come la parola dell’uomo e dell’animale, quella che chiamiamo letteratura, parola fissata e scritta in un dato momento per lettori che neppure l’autore immagina, non presuppone un obiettivo unico, ossia la comprensione.

Spesso lo ingloba, lo supera e più o meno dichiaratamente e palesemente tende più che alla comunicazione pura, alla trasformazione del comportamento dell’interlocutore e del destinatario.


In effetti la cosa più astratta e rarefatta, la più incorporea e senza peso, il pensiero e la parola, è come se volesse trasformare la realtà materiale e corporea, spostare pesi immensi, muocere le montagne.
In parte ci riesce, in altra parte provoca anche danni notevoli, con questo voler mutare il mondo con il soffio del pensiero.

Parlando con il figlio, il padre vuole mutare il mondo, educare un uomo che farà meglio di lui, che dovrà affrontare amore e dolore, amicizia e guerra, senza avere paura e fuggire.

La madre, con il linguaggio del sorriso conosce il figlio appena nato, e vuole fargli superare lo sbigottimento di un mondo pieno di aria e di luce, di sensazioni mai prima conosciute.

***
Il linguaggio, quindi, non è meramente una pura forma di pretta comunicazione, poiché il suo fine non è semplicemente e solo comunicare, e lo sarebbe solo se la comunicazione non fosse che uno dei sistemi più efficaci per indurre indirettamente il destinatario al cambiamento della realtà contestuale immediata, mediata o imminente.


Ne deriva che l’obiettivo di comunicare, tipico della lingua, è solamente un punto di primo arrivo, un attracco prossimo, ma le finalità recondite restano situate in regioni più lontane, nascoste, anche quando sono intuibili.

Così nei poeti e negli scrittori più noti la descrizione ed il canto non sono fini a se stessi, ma mirano alla trasformazione dello stato d’animo del lettore, dell’ascoltatore o dello spettatore. tanto da indurre idee e comportamenti consoni al significato del messaggio assimilato, col tempo.

Si tratta di una specie di effetto metamorfico e catartico affidato all’emozione, alla commozione, capaci di indurre all’apprendimento molto più efficacemente della semplice spiegazione fredda e razionale, che non resta per così dire attaccata alla memoria, se non si rende attiva la sfera affettiva.

In pratica, emozionare vuol dire potenziare la memoria, l’apprendimento, ma anche rischiare una qualche deviazione verso risultati deleteri.

In questo era il magistero di Mnemosyne, ma anche delle Muse, che fornivano la base dei ricordi, essenziali per la poesia, ma anche le tecniche.

Come dire la parola e la tecnica grammaticale.
L’ispirazione e l’esperienza sintattica.

***
*

La Memoria.
Dove abita?
Dentro di noi, o fuori?
Sul Parnaso?
O in tutti questi posti?
In vari e molteplici siti.

Ma la sua sede precipua è nell’Iperuranio?
O dentro le grandi stanze ove si conserva traccia della conoscenza umana?

E se così fosse, chi ne è il sovrano?

I custodi che si affaccendano a spolverare e pulire, o i possessori delle chiavi?


O gli studiosi, che in fin dei conti nulla potrebbero senza i custodi, con i loro giornali rosa sportivi, le loro focacce con la frittata e le arance sbucciate con la lentezza d’un pendolo?

***


*

E se scomparissero tutte le chiavi, ci sarebbero ancora le memorie, e la Memoria dove volerebbe?


E se le chiavi scomparissero e le porte restassero disponibili, apribili, e ognuno potesse togliere e aggiungere al patrimonio delle informazioni, delle narrazioni, della storia scritta e della letteratura, cosa mai potrebbe accadere?


Sarebbe possibile distinguere fra le cose aggiunte e quelle autentiche?
O tutto sarebbe come prima?
E se nulla poi mutasse, malgrado la patente possibilità d’ogni mutamento?

Mettiamo che nessuno entrasse mai per ignoranza delle cose, per disinteresse o per pura prudenza comportamentale nelle stanze dei documenti incisi, registrati o scritti e che tutto rimanesse come se le serrature fossero sempre state in efficienza, cosa cambierebbe nell’assetto generale?

Ognuna di queste ipotesi esclude l’altra.


***
Certo, sarebbe stato davvero disdicevole che tutti quelli che in qualche modo si ritenessero coivolti nella custodia dei dati e delle informazioni dovessero chiudersi dentro i locali ove fossero sistemati i computers.
I custodi dei libri, dei documenti e delle macchine informatiche sarebbero divenuti sacerdoti e quasi vestali del fuoco della verità e della conoscenza.


Ma tutto questo avrebbe annientato quel fattore imprevedibile e in un certo sento destabilizzante, eppure ricco anche di implicazioni positive, che era il ‘clinamen’, di cui tanto disse e scrisse il grande Lucrezio Caro.

Ogni cosa, ogni vita, ogni movimento tende pigramente a conservansi come tale nell’intensità, che comunque decresce progressivamente, e nella direzione.
Ma ad un certo punto, quando tutto sembra stabilizzato e immoto nell’autoconservazione, c’è un guizzo, un mutamento nella direzione, e talvolta, per motivi di attrazione d’altre masse, nella velocità, che può mutare d’intensità aumentando.
Questo dispone ad altre esplorazioni, ad altri incontri, ad altri itinera, diversi da quelli precedenti, e consente nell’immobilità cosmica, generale e globale la trasformazione e il mutamento.

Questo era accaduto anche a Louis, ad un certo punto della vita, quando aveva sistemato ogni aspetto della sua apparente vita di insegnante di lingue desuete e passate.
Lo stesso assetto statico e tranquillo che lui aveva impresso alla sua esistenza si era trasformato in propellente per entrare in una nuova dimensione.

Ricordava ancora quella estate del ’92, quando, alla fine dell’anno scolastico, i suoi colleghi avevano deciso di sostituire, in pratica, un corso di Greco nel Liceo con uno di lingue moderne.
Cosa egregia.
Ma per lui comportava dover quasi rinnegare la scelta fatta tanti anni prima, quando con suo Padre aveva deciso di studiare la parte più difficile delle Lettere, quelle classiche, il latino ed il greco.

Non che lui amasse poi tanto questi due scogli, ma aveva ceduto al desiderio paterno, quasi fosse una sfida si era laureato, dopo il servizio militare aveva iniziato ad insegnare prima italiano e storia, poi quasi per combinazione prorpio greco, insieme ad arte, nel liceo vicino al suo paese.

Era davvero molto impegnativo preparare i classici, tradurre tante versioni, preparare meticolosamente la spiegazione delle regole, imparare a sciorinare paradigmi e declinazioni.

Il greco faceva paura agli studenti, e si accorse presto di avere un’arma deterrente potente nella penna e nelle mani.
Ma non la usò mai.
Si fece prendere dalla pietà e dalla compassione, tanto che presto scelse la strada non del controllo asfissiante e perverso, ferreo, ma della facilitazione e dell’aiuto, ben sapendo il rischio cui andava incontro.

Gli Alunni gli volevano bene, ma non avendone paura ritenevano che
fosse necessario prestare più attenzione a qualche altro docente.
I colleghi lo trascuravano, sapendo che era quasi amico e collega più degli Alunni che dei docenti.

In questo modo, alunno e professore, bibliotecario e aiutante di tutto e di tutti, insegnava in un modo nuovo, insolito, per qualcuno stravagente e strano.

Gli capitava di fare tutti i mestieri.
Un po’ il professore, un pò il preside, un po’ il custode.
Gli capitava di dover riparare a volte serrature e porte, tavoli e armadi, quando tardavano ad arrivare gli aiuti delle autorità comunali.
Non che difettasse di umiltà, ma vedeva i colleghi limitarsi a fare pochi segni sui registri, senza nemmeno portare i libri a scuola.
Lui ne era sempre pieno.
Libri, penne, carta erano la sua passione.
Quasi invidiava i colleghi che sapessero farne a meno.
Ed erano quasi tutti, tranne uno.
Questo, sciatto nel vestire e nel porgere qualsiasi parola, veniva a scuola con un variopinto zaino pieno alla rinfusa di manuali, fogli di carta, mozziconi di matita e vecchie penne di qualità assai ordinaria.

Si sarebbe detto che costui avrebbe avuto tutte le soddisfazioni che Louis meritava senza avere un’oncia di classe, abilità, eleganza …
No, il fatto era che Louis amava perdersi nei dettagli, non aveva un vocabolario ed un lessico in comune con il branco e coltivava sogni utopistici e irrealizzabili.

Era come se una parte dei rapporti ordinari con il resto dell’umanità si fosse formalizzata e stilisticamente cristallizzata.
Mancava quel pizzico di confidenza e di familiarità che lega come dei complici le persone anche ostili e avverse, che unisce i pescatori e i cacciatori tesi e concordi come in nessuna altra occasione se non in quella di tendere agguati agli animali commestibili o a quelli che in qualche modo eccitavano la loro sete e fame di giustizia contro ogni essere che contrastasse la loro attività.

Non era un cacciatore, questo era evidente, e per gli uomini chi non era un cacciatore era una quaglia, un fagiano, un coniglio selvatico.
Una volpe o una lepre.

La quaglia, la semplice quaglia quando si accorge che i suoi piccoli uccelleti sono in pericolo per la presenza d’un predatore, finge d’esser ferita e si fa vedere mentre batte le ali come se non potesse volare, così da distrarre l’aggressore dai piccoli.

Questo è capace di fare un animale che poi si fa uccidere e mangiare dall’uomo.

Ma chi è davvero umano, l’uomo, il ‘figlio di Dio’, o l’animale, indifeso, che si difende con l’amore e l’intelligenza?
Chi è davvero figlio di Dio?
E Dio, se l’avesse, non avrebbe forse il cuore di Mamma Quaglia?
O di qualsiasi altro Animale così capace di un così grande sacrificio e di tanto amore?

Ma Dio deve proteggere il cacciatore e la preda, e a volte i due non sanno che le parti possono invertirsi, anche se in maniera assai improbabile.

Spesso, se non sempre, pare che sia proprio l’elemento peggiore, il più violento e il peggiore a sopravvivere, a prevalere.
Da sempre.

***

Tutto questo viene spiegato facendo ricorso ai geni, ai cromosomi.
E’ come se volessimo far capire ad un vaso di cristallo che la sua caratteristica e proprio per questo esclusiva fragilità e trasparenza sono dovute ad un fattore di genesi e di distribuzione molecolare.

O alla gomma che la sua elasticità parimenti è data dalla distribuzione delle sue molecole, cellule e particelle atomiche geneticamente predisposta a priori dalla natura stessa.

Insomma, è un fatto di genetica se una lasagna non è uno sformato di cicoria cacio e uova, o una frittata.
Se non ci fosse stato rivelato questo, certamente ci saremmo confusi nella vita e nella cucina.

C’era stato un tempo in cui Louis si era reso conto che la sua non sarebbe stata una vita ordinaria, geneticamente riconducibile allo standard confezionato dal pensiero comune, dalla gente ‘normale’, che poi normale non è.

Visto che a seguire la norma, si viene considerati un po’ anormali, alla fine, dal branco, che stabilisce regole e norme spesso in deroga alle leggi e norme reali.
La nostra è la società che viene determinata dal conflitto del mondo ideale del dovere contrapposto a quello reale della soddisfazione, che non crea complessi di colpa quando è condivisa dal gruppo.

Tutto ciò che dà piacere, sembra quasi debba essere ottenuto come un bottino e una preda, da spartirsi con il branco, con il gruppo.

La partecipazione collettiva attenua i complessi di colpa, insiti nella soddisfazione del piacere, sia pure un piacere che nasca da una necessità, come quello del cibo.

L’isolamento dell’uomo è necessario in certe situazioni particolari.
Nelle imprese più rischiose e nei viaggi più avventurosi si è soli.

Si è soli nel dolore e spesso quando si aiuta, quando si fa del bene a qualcuno.

Ma non si è soli nel lavoro di gruppo, e soprattutto in quello che lo è per eccellenza, la caccia.

Chi ha studiato l’uomo, sostiene che la società sia nata proprio in base all’esperienza della caccia, che ha favorito la divisione dei lavori e dei compiti, dei rischi e della soddisfazione finale.

La violenza e la crudeltà insite in quell’attività, venivano e vengono attutite dalle esigenze vitali che dovevano essere soddisfatte ad ogni costo.
E possibilmente, nella caccia i costi sono a carico della preda.

Così pure in guerra.

Le responsabilità più gravi sono sempre del nemico, dell’altro, di chi minaccia le nostre case, la nostra gente, le nostre famiglie inermi e indifese.

Si potrebbe obiettare che nell’amore non vige questa regola della spartizione della preda e della responsabilità.



Ma anche in quel caso, l’uomo si isola apparentemente e solo per gli scambi assolutamente personali, mentre tutto il resto è spettacolo, discussione, pasto per un pubblico di amici, di parenti, di vicini, di curiosi.



Il matrimonio è una scena di caccia, in cui il gruppo dona e riceve in cambio una catena di relazioni affettive, alcune ore di amicizia in comune, parole di augurio e conforto che spesso, in molti casi certamente tanto più numerosi quanto nel tempo sconosciuti, superano le ore di affetto e di allegria di tutto il matrimonio stesso, fatto a volte di indifferenza, di assenza, di fastidio e noia, salvo le eccezioni che sicuramente non verranno rese note a nessuno.





Prof Gennaro Luigi di Jacovo
Via Trento 54 \ 58100 Grosseto GR

Al Presidente della Repubblica
Professore Carlo Azeglio Ciampi
Quirinale

Al Segretariato Generale della
Presidenza della Repubblica
Ufficio per gli Affari Giuridici e le
Relazioni Costituzionali
** Prof. Marcello Romei

Rife UG N. 581/2005 - prot. SGPR 10/03/2005 0029656 P.


Ho ricevuto risposta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ufficio Scolastico per la Toscana, Centro Servizi Amministrativi di Grosseto, in merito a quanto da me rappresentato nella mia del passato 1 marzo 2005.

Quanto mi si comunica era da tempo a me noto, anche se avrei gradito dal Ministero Istruzione un qualche riconoscimento puramente formale del mio impegno in corsi di aggiornamento che ho frequentato dietro proposta diretta dei miei presidi.
Mi sorprende che … non fossero autorizzati, visto che un tempo ogni corso era autorizzato dal Capo d’Istituto e l’insegnante veniva inviato in sedi vicine ad aggiornarsi.

In ogni caso, non posso che ringraziare per l’attenzione che è stata comunque accordata ad un operatore della scuola che continua ad amare profondamente le scuole per cui ha lavorato e la Scuola tutta, i giovani e le loro speranze, che sono veramente il futuro dell’Italia, dell’Europa, del mondo.

In tempi difficili per la Charta europea il ricordo, ancora vivissimo, mi riporta ad otto anni fa, quando nel Liceo Dante Alighieri di Orbetello mi sono battuto per fare approvare la Charta di quella scuola, fino probabilmente a provocare la mia consequenziale partenza da quel liceo.

La Charta europea sarà un giorno approvata, ma in base alla mia umile esperienza personale so che occorrerà una certa dose di testardaggine e di forza per convincere una parte cospicua dell’Europa.

Nella Biblioteca ove lavoro attualmente, aspetterò che Lei Presidente, voglia essere così gentile da spedire per la mia semplice persona e per la Scuola ove mi trovo una copia della Costituzione della Repubblica Italiana, di cui oggi è la ricorrenza.
Me ne spedì copia anche il Presidente della Camera dei Deputati Nilde Jotti nel 1986, con una bella lettera per me ed i miei Alunni di allora.

Per tutto quanto dico nella mia precedente lettera, vorrei ricordare che tutto quello che esprimo riguardo alla cosiddetta ‘altra mansione’ con cui genericamente si indica l’attività cui sono destinati gli insegnanti come me vuole solo essere a tutela dei diritti a cui tutti essi hanno libero accesso.

Desidero adesso porgere i miei ringraziamenti e gli Auguri migliori di Buon Lavoro e ogni Soddisfazione a Lei, Presidente, al Professore Romei ed a tutti i Vostri Collaboratori, ovunque si trovino ad operare per tutte le Charte, per tutti i cittadini.


Grosseto, 2 giugno 2005-06-02


Gennaro Luigi di Jacovo


***

Con questa breve lettera Louis aveva risposto alla missiva che gli era giunta dalla Presidenza della Repubblica Italiana, in risposta alla sua del primo marzo, Sant’Albino, ed alla lettera del Provveditore di Grosseto, che portava il nome di quella lingua che fu di Omero e di Odisseo, e che era stata la compagna di gran parte della sua vita.

Almeno di quella … letteraria.

La questione dei suoi ‘corsi’ di aggiornamento andava risolvendosi e spegnendosi in modo quasi naturale, per mancanza di linfa.

Lui aveva voluto ricordare alla sua Scuola cosa era stato e cosa era, adesso che molti superficialmente pensavano che lui non insegnasse più, voleva ancora insegnare qualcosa. e magari non ai bambini, ma ai ‘grandi’, ai vecchi, che soltanto ora lo chiamavano Professore.

Era come se quel termine, che aveva sempre considerato estraneo alla sua persona, allotrio e alieno, eccessivo, adesso lo appagasse e gli restituisse quel saio da insegnante povero e quasi da minore francescano, logoro, di tela grezza, con un gran cappuccio come piaceva a lui, che aveva indossato per tanto tempo, chino sui compiti e sui libri.

Era come se ritrovasse il suo vestito, quel vestito che lo faceva sentire a suo agio, tra mille voli di tortore e di piccioni, di rondini, con il suo grande lupo nero seduto, la gran coda distesa e un’aria come d’un Natale pieno di Primavera.

Come era lento, nelle sue azioni, e quante approvazioni desiderava per sentirsi appena un po’ appagato e sereno.

Gli avevano scritto le persone più oneste e giuste, Giovanni Paolo II gli aveva mandato per quattro volte la sua benedizione, con la tacita facoltà di estenderla alle persone a lui legate o da lui ritenute vicine e prossime, Tonino Di Pietro gli aveva scritto di non arrendersi mai, e di restare fedele alle idee della competenza e della correttezza nonostante le eventuali incomprensioni ‘contestuali’, eppure sentiva che la sua esistenza era troppo evanescente e che tutta la realtà, pur non affascinandolo eccessivamente, quasi gli apparteneva senza tuttavia che lui potesse minimamente mutarla né comprenderla, nel suo immenso e confuso mistero.

Quanto smarrimento e dolore, nella natura.

E quanta presunzione, nell’avvertirlo.

Chi soffre è geloso del suo dolore, tende a nascondersi, a isolarsi, mentre chi è contento mostra di voler dividere la spensieratezza con chi lo vede, con chi gli è intorno.

Sono i ricchi, quelli che si convincono d’aver capito i piaceri della vita e di saperli possedere, ad esibirsi ed esibire i loro oggetti lucidi e raffinati, a cercare un pubblico sempre e ovunque.

Questo aveva imparato e dimenticato mille volte … come diceva il poeta di Semproniano Mario Luzi in Aprile Amore.


Tanti anni prima aveva iniziato un tipo di comunicazione assai particolare con i suoi simili.
In un ambiente scolastico e sociale che a lui non sempre si attagliava, con amici piuttosto peripatetici e pettegoli, ma non per questo cattivi certo, aveva preferito un rapporto più riflessivo e ponderato con un contesto più remoto e distante.

Quasi come se fosse sempre in collegio. o addirittura in galera, aveva preferito scrivere piuttosto che parlare, ad interlocutori, amici e parenti.

Certo, gli amici ed i parenti lo avevano assecondato con estrema semplicità e laconicità.

Invece si era rifatto con amiche lontane, che erano diventate per lui come delle confidenti, prendendo però presto la veste come di sue assistite, visto che gli scrivevano con quasi ad un medico dell’anima ogni loro vicenda, anche sentimentale.

C’era un coinvolgimento anche nella carta che comportava la nascita di affetti e sentimenti che si nutrivano di tenui inchiostri e di pastelli, di fotografie e di cartoline.

Come Antonio Gramsci e don Lorenzo Milani, lui amava insomma esprimersi e spiegarsi con le lettere.

Ma a dire il vero desiderava anche conoscere e parlare ‘dal vivo’, anche per non correre il rischio di trasformarsi in una specie di animale da laboratorio, chiuso nel suo bozzolo di baco da seta di comunicazione.

Così un giorno inviò alcuni suoi componimenti ad una trasmissione radiofonica.
Dopo alcune settimane gli giunsero delle lettere.

Le lesse con molto interesse, felice.

Così iniziò la sua amicizia di lettere con una studentessa di Mantova e con qualche suo altro ‘ascoltatore \ lettore’.

A poco a poco però questi rapporti si rivelavano effimeri, se non fastidiosi, dal momento che le sue corrispondenti si aspettavano da lui una quasi legittima estensione di quella amicizia cartacea.

Ma questo non poteva realizzarsi, visto che Louis era molto legato alla sua situazione familiare e, sebbene in qualche occasione come fanno certi cavalli, avesse tirato la cavezza in modo anche rude, non aveva mai realizzato nulla di veramente serio per staccarsi dal suo contesto immediato.

Insomma, che fosse il lumacone casereccio che pareva agli osservatori interni ed esterni oppure una specie di cane fedele che in qualche modo rimpiazza gli assenti, lui restava a casa.
Ma a queste lettere, si aggiungevano quelle scritte ad altri per ragioni diciamo pure sociali e politiche.

Aveva iniziato ai primi degli anni ottanta a scrivere a ministri e uomini politici cercando di convincerli della necessità di provvedere in qualche modo all’esigenza d’una scuola, assai sentita dai suoi Alunni.

Gli anni passavano, ma il suo piccolo Liceo restava senza una sede propria, né i politici locali si interessavano molto alla questione.

Nei paesi vicini invece l’interesse per le scuole era decisamente più alto.
A Massa Marittima, come aveva notato, la popolazione aveva richiiesto ed ottenuto sedi nuove per il Liceo ed il Minerario.

A Manciano era stata richiesta l’istituzione d’un Liceo Scientifico.

Anzi, per dirla tutta, l’iniziativa della richiesta era partita dal Comune, ma poi un bel gruppo di geniali imitatori si era accodato a questo.

Un bel giorno, quando Louis era preside del liceo Dante, arrivò una telefonata che lo informò dell’imminenza d’un sopralluogo che il preside precedente aveva promesso di fare a Manciano.

Così il giorno prefissato con la mamma e Argo si recò nel borgo dell’alta Maremma e visitò la Scuola Media, rendendosi conto del fatto che volevano ospitare il nuovo iltituto nella stessa.

Tornato a casa, preparò un’accurata relazione in cui dichiarava che la sede sarebbe stata idonea se fossero state realizzate alcune opere essenziali per la sicurezza.

In effetti quel Liceo iniziò a funzionare l’anno successivo e negli anni seguenti fu completato nelle sue strutture architettoniche e didattiche.
Fu dotato anche d’un buon laboratorio informatico, anche per la notoria buona fortuna che accompagnava un docente matematico fissato per le macchine elettroniche.

Era lo stesso che tempo prima si era dichiarato contrario all’affermazione di Louis che fosse opportuno intitolare al prof Eugenio Romani il Liceo Scientifico di Manciano.

Era il preside che aveva preceduto Louis e che avrebbe dovuto recarsi all’appuntamento per il sopralluogo alla Scuola Media di Manciano.


‘Il pensiero della Morte mi accompagna …

Quando aveva letto i versi di Aprile Amore, era rimarto interdetto.
Quella tristezza, quel dolore, quella percezione di tutta la sofferenza dell’essere li ritrovava in un poeta così abile nel sapere poi trasfigurare la sconsolata miseria del vivere captata nel paesaggio nella speranza, nella certezza e nell’aspettazione d’un aiuto venuto da lontano.
Era proprio come in una poesia di Louis, Speranza.
Anche in quella sede l’Autore si ‘aspettava’ un misterioso Kwalk Uno che potesse più alla buona ‘dare una mano’.

Sembrava che il dolore fosse la costante della vita, il suo motivo dominante, e la fuga dala sua influenza il fine più ambito.
L’assenza del dolore è il piacere, null’altro.
Aveva già sentenziato Epicuro.

Eppure in determinati casi si riconosceva che il dolore potesse essere almeno in parte educativo, se non terapeutico, naturalmente senza per questo cadere in qualche sorta di masochismo, stato psicologico che inquina gran parte delle moderne giuste e buone intenzioni.

Molta della letteratura sembra ispirarsi a sensazioni di dolore da cui non si può fuggire, da cui è impossibile liberarsi.

Talvolta il dolore, specie quello derivante dalla perdita, dal distacco e dallo smarrimento di qualcuno o di qualcosa, ci segue dappertutto, vive dentro i nostri pensieri, ispira ogno nostra cosa pensata e scritta, immaginata o detta,


Così l’Eneide e l’Odissea, immensi poemi della nostalgia e del dolore della perdita, cantano un  che non muore, si nutre di altri contesti e schemi logici diversi da quelli suoi originari ed assume infine forme di pensiero restituzionale e progettuale, così che il tema del ‘ritorno’ o della fondazione d’una nuova società ne facciano da termine e da obiettivo fondamentale e costruttivo, capace anche di obliterare la sofferenza diventata impulso al altro e nuovo vivere.


In questo modo il dolore viene naturalmente utilizzato dai personaggi di Virgilio e Omero.

Nella letteratura moderna, invece, spesso il cosiddetto pessimismo, in sé addirittura positivo se considerato atteggiamento prudenziale e cauto di fronte ai rischi dell’esistere ed alle azioni o imprese pericolose, invade la mente dello scrittore, che spesso proietta se stesso nei personaggi trasformando ogni scritto in una sorta di autobiografia più o meno criptata re impedisce qualsiasi soluzione che non sia quella sfiduciata che assume tutta l’esistenza come qualcosa di negativo.

Ma anche in questo atteggiamento, c’è la formulazione di un’alternativa possibile, almeno nel principe del cosiddetto pessimismo cosmico.

Nella sua ultima poesia, scritta in una villa presso Napoli, al cospetto del Vesuvio, Giacomo Leopardi formula un invito all’uomo perché si unisca e affronti il male, il nemico comune, la macchinazione della Natura.
Auguriamoci che sia non la Natura, il nemico, ma la macchinazione, ossia un suo atteggiarsi distorto dovuto anche al comportamento umano, come fosse la struttura cosmica e non il cosmo stesso a perseguitarci e schiacciarci.

Ma comunque, la Scuola e l’Università stesse, con le sue formule spesso melense e stantie, da sempre continuavano a presentare Leopardi come il coniatore di concetti assai drastici sulla efferatezza della Natura ‘matrigna’ nei confronti dell’uomo.


Molto probabilmente il discorso dei poeti, per lo più dei poeti romantici, e sappiamo che l’atteggiamento ‘romantico’, come ogni altro atteggiamento dell’anima e degli affetti, nel pieno della loro espressione, può essere appartenuto anche a persona d’epoca anteriore al movimento di pensiero e può connotarsi quindi come un atteggiamento policrono universale, è da assumere non come assoluto e proiettato nel futuro, ma come relativo e riguardante il presente.


Il loro frequente lamento d’animale afflitto, tormentato e quasi perseguitato dal cosmo è solo strumentale, e vale per un presente che pare eterno, ma è disposto a cessare all’apparire d’una prospettiva qualsiasi di felicità, anche effimera, anche leggera e destinata ad una breve ora di luce.

Non è eterno il dolore dei poeti, ma effimero, mentre eterna pare la loro impavida capacità di soffrire e di offrire uno spettacolo non sempre dignitoso, ma anche piagnucoloso e petulante,

A qualcuno questo pianto perpetuo, insistente, più o meno intenso e giustificato, certamente non torna molto gradito.

Ma ai lettori dì ogni epoca, le tragedie più o meno intense sono risultate sempre assai più ben accette dei drammi che avessero lieto il fine, il mezzo ed il principio

Anche se non è stato mai esiguo di certo il numero dei lettori assidui e appassionati, chiamiamoli così, di romanzoidi fantasioni e sdolcinati in epoca classica e moderna.

I fatti altamente drammatici, la violenza, la morte stessa sono stati per secoli i temi prediletti della letteratura, dallo scadente racconto del romanzo di bassa lega alle vicende poeticamente raffinate dei canti epici e lirici.



*** Sembra, e non occorre scomodare illustri teorie ( come quella del valore catartico della rappresentazione scenica della sofferenza, del dolore e del suo stesso racconto da parte dell’eroe, che altri non è che quello che i cineasti chiamano interprete principale e che nella vita viene invece definito via via come la commiserazione, il ludibrio e la pietà suggeriscono ) che effettivamente l’esposizione delle proprie avventure o disavventure sia sorgente di nuove, possenti emozioni capaci di provocare effettivamente una scelta equilibratrice in chi si offre come narrazione di se stesso.


Ma certo non possiamo andare in giro a raccontarci come Enea a Didone e Odisseo alla corte dei Feaci.

Storie così variegate, poi, non ne abbiamo certo.
E se anche fosse, raccontata una volta anche la storia di Ifigenia, Penelope e Argo risulterebbe fatalmente risaputa.

Una volta sola nella vita ci è concesso di essere, e di essere solo per metafora, Enea o Ulisse, di avere la possibilità di ‘raccontarci’ e anche allora non è detto che scatti la possibilità della ricostruzione della nostra vita, la rideterminazione e la nuova motivazione d’un futuro denso di nuove incognite ma privo dell’ansia e dell’angoscia dell’oscurità della fonte e della sorgente lontane da cui proviene il fiume, o il ruscello, della nostra vita.

Di sicuro, si dirà, molti amano ripetersi, ma questo atteggiamento iterativo riguarda per lo più le ordinarie abitudini, ed anche le esagerazioni e le aberrazioni, personali.

Si sa che molti moderni studiosi della psiche hanno esteso la teoria platonica dell’arte quale forma di mania divina capace di elevare l’anima dell’uomo e quasi farlo avvicinare, ma questo solo la scienza matematica e geometrica può farlo compiutamente, all’iperuranio.

L’anima dell’uomo è descritta genialmente da Platone come un cocchio con due cavalli.
Uno bianco e docile, l’altro nero e focoso, quasi ribelle, indomabile.

L’auriga, la coscienza, deve guidare il cocchio tenendo conto di questa realtà doppia, bipolare, con tutti i rischi del caso.

A questa hanno abbinato la teoria dell’arte quale complesso di attività mimetiche della natura ruotanti intorno alla tragedia, che è come se fosse il cuore dell’arte, la fonte di Mnemosyne stessa, la sorgente d’ogni rappresentazione artistica.

Ora, consta che da Freud in poi, un abile medico e accanito lettore delle tragedie greche, questi due ‘miti’ di Platone siano diventati un vero leit motiv applicati non tanto alla comprensione della natura umana, ma addirittura estesi all’analisi di talune sue presunte patologie.

L’abilità di un medico austriaco occasionale lettore di letteratura greca ha trasformato le vicende della tragedia ellenica in un grande, arbitrario serbatoio di situazioni cliniche, a cui poter attingere senza necessariamente la solennità, la commozione e la sacralità che era la caratteristica comune ai lettori ed agli spettatori antichi.

Così al suono di ‘complesso di Tizio’ e ‘complesso di Caio’ la ‘scienza’ psicologica, nutrita della più fosca tadizione tragica e delle più cruente narrazioni della migliore tradizione drammatica ateniese, ha affrontato tutti quei casi che presentavano analogie con il piano narrativo classico di Sofocle, Euripide ed Eschilo.

Stranamente l’unica vicenda veramente lacerante e folle di tutta la letteratura greca, quella di Medea, non è stata manipolate né utilizzata dagli psicologi, dai teorici della letteratura delle manie.


Invece il povero Edipo è diventato l’emblema stesso del disturbo mentale, del disagio, direi che il suo motto non poteva ce essere:


‘sto male con me stesso, sto male con gli altri …’.


Il povero Edipo, o ‘Edipo come preferiscono altri, era solamente bisognevole di conforto e di consolazione,
Orfano, appeso per i piedi come un capretto, con i piedi bucati era stato trovato e allevato prima da un pastore, popi dal re di Corinto.
Sentì che non era che un bastardo, e andò alla ricerca dei genitori, dei parenti, del padre.
Purtroppo lo incontrò e senza poterlo certo riconoscere lo uccise.
Così Edipo uccise il padre, senza saperlo.

Non solo, ma sposò la madre, in completa ignoranza, dopo aver vinto le insidie della Sfinge.
**
Quando si rese conto, dalle sciagure di Tebe, di aver compiuto azioni interdette, si accecò e andò via da Tebe, a Colono, ove trovò finalmente serenità.

Edipo il cercatore, capace di vincere il mostro dell’indovinello fatale..

Edipo l’orfano, il bambino dai piedi gonfi, dai piedi bucati.
Laio lo aveva fatto esporre perché un oracolo aveva predetto che il figlio lo avrebbe ucciso.


La psicoanalisi ha eletto il patrono stesso del fatalismo a simbolo e protettore della libertà delle scelte umane, paradossalmente.


E’ come se riconoscesse l’ineluttabilità di quello che gli ingenui chiamano destino, che anticamente chiamavano fato e che i naturalisti chiamano sistema, o natura.
Il fato era una forza latente, oscuro agli stessi déi, che in un certo senso ne erano succubi come i mortali.
Si potrebbe dire che in effetti era la sola, unica, impalpabile divinità, il solo Dio che permeava e regolava il Cosmo.

***


theta




* Il Professionale, come veniva ordinariamente chiamato, era un grosso edificio sistemato proprio all’angolo d’una importante piazza della città.

Il giovedì c’era mercato, un rituale utile e dilettevole per tutti.
Negli altri giorni niente e nessuno poteva togliere la gloria della scena al palazzo, che un tempo era una ottima Scuola Media, la scuola dove Louis Aveva insegnato Latino priva di accettare le 150 ore nei moduli di Orbetello e Albinia.

Andò in presidenza, in un mattino di settembre.

Il preside gli diede un sobrio benvenuto nella scuola.
Era tutto indaffarato a smistare le classi che per la prima volta prendevano posto in quella sede.

Gli disse che avrebbe insegnato nel triennio, ai ragazzi più in là con gli studi, ma non in quella sede, a Marina di Grosseto.

Così Louis andò subito lì.

Il direttore lo accolse dicendogli che si era presentato troppo presto, poteva anche aspettare.

In ogni caso, si notava la presenza di un insegnante che per ora aveva le classi che sarebbero poi state effettivamente assegnate a lui.
Quell’insegnante più tardi lo avrebbe ritrovato in una succursale del professionale, nella cittadella degli studi, impegnato solo per dodici ore, mentre a lui, a parità di trattamento economico, ne furono assegnate ben diciannove.

Quando Louis arrivava, si moltiplicavano ore ed alunni.

La sede di Marina era un modesto fabbricato, un tempo forse colonia marina, circondato da autentici ruderi d’altri fabbricati analoghi.

Guardando dal certe finestre era possibile essere colti da autentici attacchi di depressione, dal momento che si aveva l’impressione di trovarsi al centro d’una zona bombardata al tempo dell’ultima guerra, come la chiamano gli speranzosi, oppure in una zona calda del Medio Oriente.

Comunque, a parte la vista dalle finestre, che in un’altra classe offriva anche un panorama dell’Argentario e di Monte Cristo, tanto per fargli capire d’essere abbastanza lontano da casa e abbastanza vicino a mete nemmeno sperate, di notevo quell’anno ci fu che le classi erano alquanto vivaci e quando uscira, sia dalla sede di Marina che da quella della cittadella, sentiva un bel profumo di cucina.

Si trattava di sezioni di specializzazione Alberghiera del professionale.

Ma a dire il vero non fu mai chiamato in occasione alcuna a dare neppure un modesto parere sulla bravuta di studenti ed alunni.

A lui toccavano solo le nobili astrazioni della storia, della grammatica e dell’educazione civica.

Quell’anno passò fra una miriade di incontri pomeridiani di aggiornamento d’ogni tipo.

Louis si buttò a capofitto in questa attività, quasi per convincersi che fossero utili almeno alla socializzazione, a qualche scambio d’informazioni fra i docenti.

Ma in realtà quei corsi erano strumentali per lo pù ad una specie di giustificazione metadidattica che si doveva dare alle tante funzioni paradirigenziali che si andavano inventando in una scuola che sembrava sempre più un ipermercato virtuale.

Ogni cosa si trasformava in test.
Anche il linguaggio fra operatori era ormai una specie di scelta fra varie opzioni sbrigativamente proposte.

L’uomo era partito dagli elenchi delle mercanzie nei magazzini fenici e mesopotamici ed aveva inventato la scrittura.
La letteratura era nata, con tutte le sue eleganti formule di parole, dalle ansie catalogatrici dei bottegai.

*
Nemmeno se lo ricordavano più, i traduttori dei traduttori di Omero.

E adesso, proprio dove di sarebbe dovuto insegnare la letteratura, a scrivere e parlare, si ritornava all’antico linguaggio dei bottegai, che sapeva fare a meno della letteratura e della poesia, forse perché era esso stesso una forma creativa di poesia e linguaggio.

Tutta la scuola italiana, e forse del resto del mondo, si era arenata sulle secche dei quesiti memorabili e, come dicono i saputelli, epocali quesiti irrisolti della cultura didattica.



Il sistema diretto e brutale della domanda:


a. chi ha scoperto l’America?
b. chi ha ucciso Cesare?

oppure, per i matematici:
c. quanto fa due più due?

era diventato


l’America è stata scoperta da:



a. chi fa fortuna
b. chi le toglie la coperta
c. gli Egizi, i Fenici, i Vichinghi o l’equipaggio della Nina,
la Pinta e la Santa Maria.


** Restava aperto, per i cosiddetti Saggi, ogni tanto convocati e sempre più numerosi in barba alla demenza dilagante, e per gli intellettuali in genere il tema e problema, come di addice a tutte le cose assai serie, dell’epistemologia.




Che non è una disciplina da poco, e neppure una scienza, ma quasi una ricerca della ricerca, quasi uno studio dello studio.
Non vuole sapere, ma sapere di sapere e per sapere di sapere per saperne di più e per sapere perché e per chi o percosa si sa o non si sa.

Sempre che si sappia e non si sappia di sapere.

Questo è un antidilemma, perché un tempo né prima né dopo di Socrate, ma nello stesso tempo, era già sapere sapere di non sapere.

Adesso occorreva sapere, e ricercarlo ovunque, cosa è sapere e come funziona il gioco stesso di questa arcana attività organizzatrice non della mente o del cuore, ma proprio del sapere.


Scio ergo scio et sciens scire scio.
Qui scire scit sciens esse scit.



Ma nelle scuole si combatteva in prima linea.

Era nelle colte università, sede dei pozzi della scienza che si dibattevano queste squisitezze.

E si stampavano a spese pubbliche.
Era nelle università, dove già restare era indice di fierezza, di durezza e di capacità di resistenza e di attitudini alla costruzione d’una efficace e solida, ma anche elastica e appiccicosa rete sociale.

Era nelle università che si dibattevano i grandi temi epistemologici, fra un concorso ben costrutto ed un incarico ben appioppato.


E intanto, a detta dei veri esperti, nelle università restavano i peggiori, ossia i più ignoranti e i più abili nel tessere contatti fertili, i predatori e i carnivori, i cacciatori di cattedre, i surgelatori delle idee, dei libri e delle biblioteche, gli insonni addormentatori del sapere, del volere e del potere, mentre i ricercatori veri preferivano affrontare il mare aperto della vita e guadagnarsi altrove il pane, magari anche senza la pregiata cicoria di campo, costosa e rara, contrariamente a quel che andavano predicando certi ortolani politici che forse la volevano tutta per sé



L’estate successiva gli arrivò una raccomandata che parlava di ...



Trasferimento definitivo all’Istituto Tecnico Agrario Leopoldo II di Lorena di Grosseto.



nei suoi riguardi.

Chissà perché, la cosa gli diede un brivido freddo e gli trasmise una sensazione decisamente negativa.


Quando si presentò in quella scuola, gli furono assegnati dei corsi di sostegno per alunni che non avevano superato completamente l’anno precedente.
Riprendeva contatto con la nuova situazione.


La scuola non ‘bocciava’ più.

Ma si continuava ad usare ed a praticare quest’azione da circolo bocciofili postlavoristico di pensionatistica memoria.
Non rimandava.
Applicava ‘debiti’.


Dichiarava in effetti ‘non promosso’.

Appioppava ‘debiti formativi’, alla luce della botteghizzazione di tutta la faccenda.
Si diffondevano le giustifixcazioni con registri e libretti identificati con codice a barre.
Sembrava di essere alla Coop per la spesa, quando si giustificava un alunno.
Mancava solo la spesa e le buste eleganti di materiale plastico, tanto pericolose per le megattere.

*
Non che Louis non amasse le botteghe.
Anzi.
Qualche suo antenato era stato ottimo commerciante ed artigiano orafo.
Lui stesso avrebbe voluto essere un valente botte\gajo.
Ma in effetti la sua occasione era svanita da tempo.

Per lui avevano scelto una strada scolastica e letteraria, e si sa, carmina non dant panem ...

Aveva collaborato per un decennio, inoltre, alla rivista letteraria Alla bottega di milano, pubblicando saggi e poesie sulla profezia medievale, sul Rinascimento, i Medici e Savonarola, Pavese, la linguistica, la questione meridionale e le interpretazioni del fascismo.

Bottega, apoteca, boutique, ptèka era tutto sommato una bella parola e gli faceva pensare al lavoro, ai laboratori rinascimentali, a Cosimo dei Medici, che governava l’Italia dalla sua bottega, appunto.

Ecco, già questo è abbastanza diverso.

Una bottega che esamina, governa, confonde il mercato con arte e poesia, già questo era forse oltre i limiti, i confini a cui deve attenersi una buona, bella bottega d’artigiano o di commerciante.



Quando la mercanzia invade il Tempio, il Parlamento, l’Università e la Scuola, allora si torna alle mercanzie mesopotamiche e l’alfabeto diventa un inutile orpello.



Ma ogni idea è anche una opinione soggettiva, a meno che non sia un’idea primigenia, universale, di platonica memoria.

Louis non aveva potuto opporsi alla nuova botteghizzazione della scuola, della società, era troppo solo, debole.


Commerciante, del resto, è bello.


Si consultano le tabelle del Sole, si prende il Sole 24 ore, non ri rischia l’insolazione perché il Sole è di carta rosa, si controllano nella borsa le azioni, si sospira o si impreca, si consultano i Soli in altre lingue, massima l’inglese, si butta un’occhiata su Internet per consultare il riassuntino degli affari nel mondo.




Si compra e si vende, non si paga nulla, ogni cosa è legata ad un sistema di auto finanziamenti e autopagamenti, anche se poi si arriva sempre al pettine e allora scatta la carta, la tessera, il libretto e le vecchie care penne, a volte modeste per la fretta, tornano a regnare, a volare scattando e tracciando i vecchi insostituibili degni dell’alphabeto non per poesia o per qualcosa di letterario, ma per la vecchia cara ragione che ha generato le lettere dell’alphabeto: l’ auri sacra fames ...
Non ha fatto un grande favore, dopotutto, alla classe operaia, alla classe ‘lavoratrice’ in genere il fondatore del contemporaneo movimento detto marxista, dicendo che il movente d’ogni azione è economico.


Adesso che la classe lavoratrice, dispersa la classe operaia in una miriade di sottoclassi, almeno nel vecchio occidente, vede imprenditori e commercianti prendere, quasi come nell’antica Atene, le redini del carro democratico, che ridiventa timocratico, forse ripensa con rabbia a quell’affermazione.


Ma forse tutti dimenticano che economia anticamente, e quindi anche ora, non voleva dire bottegocrazia o bottegonomia, bensì ‘legge della casa’.

Fare dell’economia voleva dire pensare a tutta la casa, a tutta la città, a tutto il proprio paese, non solo all’andamento del mercato o ai grossi e piccoli conti.

Fare economia significa preoccuparsi d’ogni tema e problema della famiglia e della casa, magari nel modo più giusto, senza essere ‘invadenti’, rischio che purtroppo corre sempre chi aiuta semplicemente qualcuno.

Insomma, non impiccioni, ma interessati a ogni elemento, questo vuol dire essere ‘economici’.

Ma i propri genitori e il significato delle parole, sono la prima cosa che gli uomini dimenticano.


In compenso, dimenticato o travisato un significato, lo traducono in molte altre lingue, così da potersi vantare di non riuscire a capire non una, ma una miriade di parole.

*



iota



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§§§

§§

§




*** Grosseto - gennaio 2006
* * 
Gennaro di Jacovo
Nuovo Modulo di Grammatica Contestuale

Ad uso degli Alunni che ne facciano richiesta per uso personale
Gramatikus
Gramatik



1. LA LINGUA COME STRUMENTO DI COMUNICAZIONE:

Fra le caratteristiche comuni agli uomini di tutte le regioni della Terra, troviamo l' uso della lingua e del linguaggio come strumento di comunicazione.
La lingua parlata, il linguaggio o ‘parole’, è presente ovunque, mentre la lingua scritta, la ‘langue’, è codificata e attestata solo in certi tipi e stadi di cultura.

Con la nascita dell’alfabeto, o comunque di qualche sistema di scrittura che inizialmente dobbiamo immaginare quale un sistema di segni che imitassero e raffigurassero oggetti o metafore di concetti e idee, ha inizio quella che si chiama ordinariamente epoca letteraria o storica, e che ricopre una fase sensibilmente breve della permanenza dell’uomo sulla terra.
Va osservato anche che ogni animale, ogni oggetto dell’universo ha un suo modo di parlare, un suo linguaggio e forse addirittura un suo limitato alphabeto, ma l’uomo per fretta e superficialità quasi sempre ignora queste silenziose espressioni di linguaggi lontani, che a volte si fanno suoni veri e propri, come quelli degli animali, ben più intelligenti e sapienti di quanto si creda.

Occorre rispetto e amore per ogni linguaggio, altrimenti anche il nostro, che forse è il più complesso e artefatto proprio perché esprime un mondo interiore più lacerato e conflittuale, risulterà così vario, astruso e incomprensibile un giorno, come avvenne a Babele, che non riusciremo più non solo a capirci, ma neppure a intuire quale lingua parliamo.

Gli animali, contrariamente a quanto si pensa, hanno un sistema di comunicazione efficace, vario ed unico per tutti gli individui di qualsiasi contrada e paese della Terra.

In pratica hanno realizzato da sempre un vecchio sogno dell’uomo, quello della unificazione dei codici linguistici e del superamento della differenziazione linguistica.
***
Quando l’uomo fu creato, immagina Dante, un grande poeta ma soprattutto un grande linguista, espresse la sua prima parola.
** Gridò la sua riconoscenza a Dio, il suo ‘fattore’.
Unire un significato astratto, la riconoscenza, ad un suono foneticamente articolato, il significante, arbitrariamente espresso, volontariamente e intenzionalmente formulato, volle dire creare l’elemento minimo complesso della lingua parlata, la parola.
E questo si ripeterà sempre, ogni volta che un essere emetterà un segno a cui attribuirà un senso e un significato.
Accadrebbe anche se fosse cieco e muto.
Non per nulla quella che chiamiamo letteratura è stata creata da un cieco che forse neppure conosceva alfabeti.
La mente, Mnemosyne e le sue figlie, le Muse, sono esse stesse alfabeto, poesia e oceano di idee, conoscenze e segni, che poi questi siano scritti i disegnati, è cosa probabilmente di un qualche interesse solo contingente.
Riguarda la storia, le biblioteche, la letteratura e i libri, e qualsiasi altro mezzo più o meno apparentemente innovativo, che occupano solo l’ultimissima parte della vicenda umana, quella visibilmente caratterizzata anche dalla enorme e quasi sempre univoca e monopolare influenza dell’uomo sul contesto naturale esterno.
Successivamente all’atto primigenio e archetipico del parlare, che si pone in un tempo al di fuori del tempo e che quindi è quasi scoperto e creato da ogni parlante quando inizi ad usare il linguaggio, una volta formato un insieme cospicuo di parole d’ogni tipo, è stato necessario formare un determinato lessico, una qualche sintassi e grammatica.
Tutto questo solo da poche migliaia di anni si è trasformato in codice linguistico normativo e lessicale, in testi scritti in varie forme, in vocabolari, grammatiche e sintassi, in biblioteche e da poco in altri sistemi di scrittura digitale e computerizzata.

Le intuizioni di Sausurre e Chomsky, comunque, attuali e geniali, erano già in Platone e Dante, di cui si preferisce ricordare le parti più appariscenti della dottrina poetica e filosofica, e non quegli aspetti della vita legati all’amore per la libertà e la dignità personali.
Entrambe furono privati della libertà, furono l’uno schiavo e l’altro esule, ma non si privarono mai della loro libertà della mente, della loro capacità intellettuale, della loro intelligenza.
Questa era la loro Firenze e la loro Atene.
La loro 
***
2. ALTRI SISTEMI DI COMUNICAZIONE USATI DAGLI UOMINI:
La funzione centrale e principale di una lingua è quella di trasmettere informazioni, cioè di svolgere una FUNZIONE COMUNICATIVA.
Gli uomini però possono comunicare anche per mezzo di altri segni linguistici: i gesti, le fumate degli indiani d'America, i tamtam delle tribù primitive, i cartelli della segnaletica stradale, le espressioni del volto etc…
In linea di massima si può dire che qualsiai segno a cui si attribuisca un significato comprensibile può entrare a far parte di un sistema di segni suscettibile di un ordinanento convenzionale formando quindi un codice, con un lessico ed una sintassi, delimitato ad un gruppo di individui.

Quel gruppo che deliberatamente, ‘arbitrariamente’, ossia con un preciso atto basato sulla conoscenza e sulla convenienza, lo elegge, lo crea. lo forma e trasforma.
Un inguaribile economista potrebbe parlare di una sorta di ‘contratto informatico’, o comunicativo, di tipo linguistico.

E’ un contratto senza testo scritto né compromesso, paradossalmente da rispettare a cose fatte, con la creazione di ‘codici’ lessicale e grammaticali che nascono quando il linguaggio è già divenuto lingua scritta, magari letteratura, e necessita di una sistematicità normativa.


Questa, una volta affermate le sue regole e la natura dell’errore, sorgente in qualche caso dell’evoluzione linguistica ma anche limite, confine e fine delle competenze linguistiche, una volta stabilito il modo corretto dell’uso della lingua immancabilmente ne rappresenta anche in qualche modo un argine e freno alla ulteriore sempre imprevedibile trasformazione.


3. LA DOPPIA ARTICOLAZIONE DEL LINGUAGGIO:


Il linguaggio è una associazione di segni fonici o grafici significanti univocamente combinati con i relativi significati (idee - oggetti): un “insieme", insomma, del tutto "arbitrario" di simboli convenzionali ad ognuno dei quali viene associato un preciso campo di significati.
Simboli e significati mutano, nascono e muoiono, come tutte le altre cose.
** Come ogni oggetto, come ogni essere vivente, le parole hanno un loro corso vitale, nel quale è difficile anche riconoscere e distinguere la nascita dalla morte, tanto che spesso lessemi e fonemi ritenuti ‘estinti’ e abbandonati, gettati quasi nel dimenticatoio come un umile rifiuto, rinascono, rivivono e si riaffermano nel dominio linguistico, come risorti.


Questo ricorrente anche se misconosciuto fenomeno ci indica e ci insegna che in effetti non esistono in assoluto persone, cose e lingue morte, ossia nullificate e in eterno assenti e spente, perché esse, come gli uomini, rivivono nei figli, dormono apparentemente nel loro oblio e si risvegliano nell’uso e nella memoria affettiva.


Tutto quello che è veramente importante, è come un seme sotto la neve e la terra, quasi ignorato e dimenticato ma pronto a farsi pianta e fruttificare.
Quello che invece è già scoria e spazzatura, può rivivere e rinascere, essere rigenerato, come fa la Natura sempre con tutti, ed è sempre davanti a noi, in piena visibilità.



Prendiamo il messaggio " DIVIETO DI SOSTA ". Possiamo dividerlo
in tre " parti ", ognuna delle quali può essere usata in altre occasioni:
-divieto-…di sorpasso / il libro…-di- Luigi / ho fatto una lunga …- sosta -.
Inoltre uno qualsiasi di questi "segni" linguistici può essere a sua volta diviso: diviet-o; questa forma di divisione del linguaggio in unità successive fornite di significato è detta PRIMA ARTICOLAZIONE DEL LINGUAGGIO.
Ma ognuna delle unità individuate nella PRIMA ARTICOLAZIONE può essere divisa in unità più piccole PRIVE DI SIGNIFICATO.
Per esempio: "sosta" è formata da 5 unità: s-o-s-t-a, ossia da 5 FONEMI, ognuno dei quali fa distinguere questo segno da altri come p-osta, s-e--sta, so–r-ta, sos-i-a,. Questa è la SECONDA ARTICOLAZIONE DEL LINGUAGGIO, con cui dividiamo le unità significative nei singoli suoni che la compongono.

L'ATTO DELLA COMUNICAZIONE:
*** Molteplici sono, come si è accennato, i tipi di comunicazione, ma noi ora ci interesseremo in prevalenza della comunicazione di tipo linguistico.
Perché avvenga una comunicazione linguistica è indispensabile la presenza di una persona che parli o che scriva, innanzitutto, che sarà l' EMITTENTE, o mittente, o trasmittente, ossia la fonte stessa dell’atto linguistico, il creatore del messaggio con un grado più o meno alto di intenzionalità e di volontarietà, in quanto nei diversi tipi di letteratura possiamo rilevare in chi si fa autore la presenza più o meno vistosa di una personalità ispiratrice condizionante o di una qualche committenza umana o divina..
Quello che questa persona ‘autore’ dice o scrive sarà il MESSAGGIO o DISCORSO.
La persona a cui il messaggio è destinato sarà il DESTINATARIO, o RICEVENTE.
Perché vi sia "comprensione", bisogna che la lingua usata di chi parla (o scrive, o telefona, o comunque trasmette) sia conosciuta da chi ascolta o legge.
Si deve perciò usare un CODICE (il complesso di "segnali" le"parole"
di un linguaggio o d'una lingua) comune.

***
La COMUNICAZIONE, una volta per così dire attivata dalla emissine di un messaggio da parte del mittente, può essere ostacolata da vari fattori (rumori; scarsa attenzione del DESTINATARIO o RICEVENTE; una precisa volontà di non entrare in comunicazione da parte del destinatario).

***
Naturalmente la filosofia del linguaggio, più che la grammatica, studia ed esamina queste modalità che chiamerei glottosofiche, poiché riguardano la conoscenza, la sapienza della e sulla lingua.

Schema 1 :
RUMORI (esempio: la lontananza;
il chiasso nell'ambiente.)
MITTENTE ... SEGNALE ... CANALE ... RICETTORE … MESSAGGIO

(la persona che (emissione (vibrazioni (apparato uditivo (articolazione
parla - scrive) di suoni ) acustiche) di chi ascolta) di significati)




CODICE (la lingua parlata, come si-
stema di simboli, nei quali ad
ogni SIGNIFICANTE -suono/segno-
corrisponde un SIGNIFICATO –
concetto / idea _________________)

*** ***
DESTINATARIO
( la persona che riceve il MESSAGGIO
e trasforma i SIGNIFICANTI in
SIGNIFICATI - concetti / idea ___ )




***

Lo Schema 1 è riportato in G. BARBIERI, Le strutture della nostra lingua, La Nuova Italia, FI 1972, pag. 9.
A. MARCHESE in Didattica dell'Italiano e strutturalismo linguistico, Principato, Mi 1973, pagg. 23 segg., riporta il seguente schema, proposto da R. JACOBSON (Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, 1966, p. 185):





CONTESTO
MESSAGGIO
*** MITTENTE DESTINATARIO
CONTATTO
CODICE



A questi FATTORI della comunicazione, corrispondono le seguenti
FUNZIONI del linguaggio, ossia diverse finalità d'uso del linguaggio:




INFORMATIVA
POETICA
EMOTIVA O ESPRESSIVA
CONATIVA
FàTICA
METALINGUISTICA


5) LA FUNZIONE DELLA LINGUA:
quando una persona rivolge il discorso ad un'altra, utilizza il linguaggio per diversi fini.

Per esempio:

"Mio fratello ha terminato il servizio militare e torna a casa questa sera"….. "Mi fa piacere questo, sono d'accordo"……
"Vieni questa sera a casa nostra”.


Chiamiamo "a", "b" e "c" rispettivamente le tre frasi.:
"a" informa d’un fatto avvenuto e d'un altro prossimo ad avverarsi; "b" reagisce esprimendo un parere personale;
"c" esprime un invito, una esortazione.


Possiamo dire che ogni frase svolge una FUNZIONE tipica del linguaggio.


***
*** Le ‘ FUNZIONI ’ della lingua sono:

1) INFORMATIVA, o ‘referenziale’, tipica del discorso storico e scientifico: "informa";
2) ESPRESSIVA, esprime contenuti ‘soggettivi’ e personali, non fatti e dati informativi. Tipica del linguaggio dei "poeti" e di chiunque voglia comunicare emozioni, sensazioni, sentimenti, stati d’animo;
3) CONATIVA o imperativa, sollecita gli altri a compiere determinate azioni. Tipica del linguaggio giuridico, "profetico", moraleggiante. Ve ne sono altre due, più specifiche e adatte a particolarissime situazioni:
4) FàTICA, per sollecitare l'attenzione di chi ascolta: “mi sono spiegato?” – “Va bene?” – “Pronto!?" (al telefono…);
5) METALINGUISTICA, quando il discorso riguarda (come ora) la lingua stessa, la definizione delle parole: è il linguaggio delle "grammatiche" e dei vocabolari.
Infine, v'è una specialissima funzione, propria di chi tende a concentrare la comunicazione e l'espressione sulla "forma" dell'enunciato, sul fattore STILE. E' la funzione:
6) POETICA, tipica della poesia, , ossia arte e ispirazione.
CLASSIFICAZIONE DEI FONEMI USATI IN ITALIANO:

SCHEMA 2

POSIZIONE DELLE LABBRA

Distese a arrotondate
è ò
e o
i u
anteriori posteriori





LE VOCALI:

Quando pronunciamo le vocali, vibrano le corde vocali.
La diversità dei suoni dipende dalla posizione della lingua nella bocca o dalla forma delle labbra.
Per le vocali i , è ( e chiusa) ed è ( e aperta ) viene tenuta più alta la parte anteriore della lingua. Per a, la lingua resta distesa.
Per ò ( o aperta ), o (o chiusa ) ed u, viene tenuta più alta la parte posteriore della lingua .

Quanto alle labbra, esse sono arrotondate per la pronuncia della ò , e della u - sono in posizione intermedia per la a e sono distese per la è ,la e e la i .

LE CONSONANTI: Si dividono in SORDE e SONORE.
Sono " SONORE " quelle che si pronunciano con vibrazione delle corde vocali : B; D; G; V; S (sonora); Z (sonora ); G ( palatale ); M; N; GN; L; GL (palatale ): R.

Sono " SORDE " quelle che non comportano vibrazione delle corde vocali: P; T; C ( velare ); S; (sorda ); Z; ( sorda ); C; ( palatale ); SC; ( palatale ).

Oppure, in relazione al LUOGO di articolazione, si dividono in:
LABIALI : P; B; M (bilabiali ) - F; V ( labiodentali).
DENTALI : T; D; N; L; R; S; Z;.

PALATALI : C; palatale ( c + e/i); G; palatale (g + e/i); SC; palatale (sc + e/i) GL; palatale (gl + i; gli + a , e, o, u) ; GN; palatale (gn + a, e, i, o ,u).
VELARI : C; velare (c +a, o, u - c+ consonante; ch + e ,i; Q; (u) +a, e, i, o).
Infine, secondo il MODO di articolazione, si dividono in:
OCCLUSIVE: p; b; m; (bilabiali) - f; v (labiodentali) - t; d (dentali) - c; g (velari).
AFFRICATE: z (dentale) - c, g (palatali).
SIBILANTI: s, z (dentali) – gl (palatale).
FRICATIVE: F,V (LABIODENTALI).
LIQUIDE: r, l (dentale) – g l (palatale).
NASALI: m (bilabiale) – n (dentale) – gn (palatale).


Nota:


la " h " è solo un "grafema", cioè un segno grafico, e non un fonema, ossia un suono vero e proprio. Distingue i suoni velari ‘ c ’ e ‘ g ’ davanti ad ‘ e ’ ed ‘ i ’ .
Suono velare .. : casa, gatto - china, ghisa.
suono palatale : cena, gesso - Cina, Gino.



*** DIVISIONE IN SILLABE:


Ogni sillaba contiene almeno una vocale.
Una parola può essere, in base al numero delle sillabe:

- monosillaba…………………….una sillaba (re, bar, per, di, a, da)
- bisillaba………………………...due sillabe (mon - te; ar –t e)
- trisillaba……………………...tre sillabe (pe – co - ra; r e – gi - na)
- quadrisillaba……quattro sillabe (vo - g a - to -re; a – ma – to - re;)
- polisillaba……………... più di 4 sillabe (in – ve – sti- - ga – to - re )


NORME PER LA DIVISIONE IN SILLABE:
Ogni consonante FA SILLABA CON LA VOCALE CHE SEGUE.
Per esempio: ma - re;
Le consonanti doppie si dividono: gat –t o; car - ro.
Quando si hanno gruppi di consonanti, la prima fa parte della sillaba che precede, le altre della sillaba che segue: con – so – nan - te.
Fanno eccezione i gruppi di consonanti con cui può cominciare una parola: ..…. ma –e – stro; stro –fa ; ri -splen - de - re; splen - den – te.
DITTONGHI:
I gruppi di vocali fanno DITTONGO quando si pronunciano con una sola emissione di voce:

UO -mo; VIE - ni; AU - to.

Quando si pronunciano separatamente, si ha uno IATO:
spi - a - re; le – o - ne.


DITTONGO = i \ u + VOCALE:
Uno IATO si forma anche fra a, e, o + u \ i quando ‘u’ oppure ‘i’ sono accentate: pa-ù-ra; vì-a; e nei DERIVATI DI TALI PAROLE: pa-u-ro-so.
7) L'ACCENTO: quando si pronuncia una parola, si mette in rilievo una sillaba. Questa intonazione più energica è detta ACCENTO.

In base all'accento le parole sono:


TRONCHE : accento sull'ultima sillaba:………… virtù

PIANE : accento sulla penultima sillaba ……. vedére

SDRUCCIOLE : accento sulla terzultima sillaba…….. àlbero

BISDRUCCIOLE : accento sulla quartultima sillaba .… òrdinano

In genere l' ACCENTO si segna solo SULLE TRONCHE e sui seguenti MONOSILIABI:
è, né, sé, sì, di', dà, là, lì', per distinguerli dagli o m o g r a f i
( omografo: che si scrive nello stesso m o d o ) : e, ne, se, si, da, di, li, la..

8) L'ENUNCIATO O PERIODO:

1. Tuo padre dice che partirà alle tre. Vado con lui.
2. Tuo padre dice che partirà alle tre.
3. Vado con lui.

n.. 1.= DISCORSO; N. 2. e 3.= ENUNCIATI o periodi.

4. Che caldo fa qui dentro! Non si potrebbe aprire un poco la finestra?
5. Che caldo fa qui dentro!
6. Non si potrebbe aprire un poco la finestra?


La frase n. 4 è un DISCORSO; le n.5. e 6. sono ENUNCIATI o periodi.
I segmenti in cui si può suddividere un discorso ( 1. e 3. ), secondo i criteri dell' INTONAZIONE e della possibilità di inserire una pausa tra un segmento e un altro, si possono chiamare ENUNCIATI o PERIODI ( 2..- 3.- 5. e 6.).

9) L'INTONAZIONE: i tipi dell' INTONAZIONE sono tre: affermazione, esclamazione e domanda. Nelle frasi 2.. e 3. ‘cade’ alla fine dell'enunciato ed esprime affermazione. Nella 5. indica esclamazione. Nella 4. interrogazione o domanda. Nelle frasi 2.. e 3. troveremo un punto fermo : ‘ . ’ - a fine enunciato; nella 5. un punto esclamativo; ‘ ! ’ -; nella 6..un punto interrogativo; ‘ ? ’ - .
I segni d'interpunzione ( . /punto; , /virgola; ; /punto e virgola; : /due punti; ….) sono simbolo grafici che servono ad indicare pause e diverse intonazioni a proposizioni e periodi.

Il PUNTO segna una pausa marcata e separa due periodi o due proposizioni:

… ‘Ei fu. Siccome immobile …’


La VIRGOLA indica una breve pausa e può essere usata:

a.per isolare un vocativo: "Stai tranquillo, Luigi, verrò appena è possibile"; b. per isolare un'apposizione con aggettivi e complementi: ‘Dante, il grande poeta fiorentino, fu esiliato’;
c. per dividere due enunciati: ‘E' vero, non partì’; d. per separare le parole in un elenco (enumerazione): ‘l'aria era limpida, chiara, fresca’.
Il PUNTO E VIRGOLA indica una pausa più lunga, rispetto a quella indicata dalla virgola, fra due frasi che si vogliono unire tra loro.
Segna perciò una pausa APERTA nel contesto dello stesso periodo e della stessa proposizione: ‘la situazione era difficile; per questo decisi di rimanere’.
I DUE PUNTI indicano che il periodo che segue spiega quello precedente. Possono precedere una enumerazione, un elenco. Sono d'obbligo per introdurre un DISCORSO DIRETTO ( riportato fra "virgolette").
Per es.: ‘ Giuseppe si alzò e disse: "Tranquillizzati, sistemerò tutto!" ’.

DEFINIZIONE DELL'ENUNCIATO:
l' enunciato è un segmento di un discorso, contrassegnato da una particolare INTONAZIONE e seguito ( nonché preceduto ) da una PAUSA prolungabile.


10) IL DISCORSO, quindi, si divide in ENUNCIATI .
Questi in PAROLE o ‘MONEMI ' .
Queste si dividono in morfemi come: LUP - o; GATT – o
che sono le UNITA' GRAMMATICALI MINIME .
(Giovanna BARBIERI, op. cit.)


1). Con ……………………… un morfema = parola monomorfemica
2). Caten-a …………………… due morfemi = " polimorfemica
3). Con-caten-are …………… tre " = " " "
4). Con-caten-at-o…………….. quattro " = " " "


Più precisamente una parola si divide in queste parti :

prendiamo = parola o monema di nove grafemi (lettere) o fonemi (suoni)
- prend = monema radice, LESSEMA (parte significante) o
morfema lessicale.
- iamo = monema grammaticale ('desinenza’ o ‘terminazione’, in certi casi) oppure MORFEMA GRAMMATICALE, ossia INDICATORE della 'forma' della PAROLA: maschile, femminile, singolare, plurale, persona per il verbo, in questo caso.

Quindi per le parole, o MONEMI, soggette a variabilità nella parte finale, si riconoscono più parti. Una - centrale - indica significato.

Le altre- finali, indicano il genere, il numero, in certe lingue il CASO, o, per i verbi, il numero e la persona .
Questi sono ‘morfemi’ , e mutano la ‘FORMA’ (SIGNIFICANTE), non la 'SOSTANZA' ( SIGNIFICATO).
Sono il 'vestito', o la ' maschera' delle parole.
***
I MORFEMI anteposti, ossia situati all'inizio del monema, prima del LESSEMA, sono dei prefissi. (particelle 'messe prima del tema’ ).
Per esempio: con - catenare ; per - correre ... .


IL MORFEMA LESSICALE comune, ossia il LESSEMA, portatore del SIGNICATO BASE, rappresenta la parte - il nucleo - della parola
( monema ) che resta dopo aver tolto prefissi e suffissi ( morfemi grammaticali ), ed è la RADICE della parola (talora coincide con il TEMA, in casi particolari ).
I MORFEMI aggiunti alla radice si dicono 'suffissi' con termine generico . Per esempio:





Corr-
Ent-
-e-
Mente

Radice
e tema

Morfema
lessicale
o
lessema

Morfema
Vocale
Gramm.le.

marca Eufonica
Morferma gramm.le

Marca \ desinenza




Schema 3



PER
CORR
ERE




PREFISSO

o monema
grammaticale

Morferma


(greco:
forma)




RADICE


o monema lessicale

lessema (=greco significo;


* (discorso)

SUFFISSO

o monema
grammaticale


Morfema

( forma)



11) LE DESINENZE :

I morfemi- suffissi contribuiscono, come si diceva prima, a DIFFERENZIARE
le CATEGORIE grammaticali : NUMERO – TEMPO - PERSONA - MODO e GENERE.


nota:
se il SUFFISSO si unisce direttamente alla RADICE (lessema) , la parola può dirsi PRIMITIVA .
Se si unisce alla radice dopo un altro suffisso ( moferma grammaticale ), la parola si dice DERIVATA .
Per le osservazioni su "lessemi", "morfemi grammaticali”, ”morfemi lessicali" e "monemi" vedi: A. MARTINET, Elementi di linguistica generale, Universale, Laterza, Bari 1977, 1.9 pag. 23 e 4..20 pag. 137 e: A. MARCHESE - A. SARTORI, Il segno il senso - Grammatica Moderna della lingua italiana, Principato Editore MI 1975, pag. 33 .


12 * I SINTAGMI O GRUPPI - NOMINALI / VERBALI E
PREPOSIZIONALI :

In un ENUNCIATO possiamo chiamare "SINTAGMA” (greco composizione, cfr. dispongo in ordine sintassi, disposizione ordinata, in linguistica vale:messa in ordine metodica degli elementi d'un lingua)oppure “GRUPPO” NOMINALE (GN) ogni agglomerato (gruppo) di parole formato dall’ ARTICOLO (o DETERMINANTE) + NOME, dall’ARTICOLO + AGGETTIVO + NOME, oppure ARTICOLO + NOME + AGGETTIVO (DETERMINANTE o MODIFICANTE), o dal solo NOME (GN).

Possiamo chiamare SINTAGMA o GRUPPO VERBALE ogni gruppo di parole formato dal VERBO + ARTICOLO + NOME, dal VERBO + GRUPPO NOMINALE o PREPOSIZIONALE oppure infine dal solo VERBO (GV).


il pioppo - il verde pioppo - il pioppo verde
determinante - determ modificante* nome - d n m

* il modificante in questo caso è ‘lessicale’, poiché modifica proprio in senso lessicale, apportando una direzione precisa al significato del nome.


chiameremo SINTAGMI I GRUPPI DI PAROLE, COLLEGATE DAL
SENSO E DISPOSTE SECONDO LE REGOLE DELLO STILE, che
trovano nel VERBO il loro “nucleo logico, sintattico e semantico
centrale”



F. s. = GN + GV = A(D) + N + V + A(D ) +N


****
I contadini …………………………... = GN (=A+N)
Abbattono un pioppo ……………….. = GV (=V+GN2) = (V+A(D)+N)
Abbattono …………………………... = VERBO (VERBALE)
Un pioppo …………………………... = GN2 (=A(D)+N)

GN1 = i contadini = "soggetto" - GN2 =un pioppo = "complemento oggetto".

Schema N. 4 :

Phrase marker = indicatore di frase

F


GN1
GV

D
N V GN2
D N
i contadini abbattono un pioppo
DET. NOME VERBO DET NOME

ART. NOMINALE ART. NOM.LE
G.N.1 _ _ VERBO GN2____


DET.(ART) + NOME VERBO + DET(ART) + NOME


FRASE SEMPLICE






Chiameremo SINTAGMA o GRUPPO PREPOSIZIONALE quell’insieme di parole, collegate dal senso e concordanti fra loro, che siano rette da una preposizione.
In pratica un ‘complemento indiretto’.


Tale sintagma o gruppo ‘preposizionale risulta formato da:
PREPOSIZIONE (FUNZIONALE) + GN e rappresenta una ESPANSIONE, poiché amplia e arricchisce la presenza “semantica” di un monema

(parola: nome, verbo, aggettivo-modificante) nella frase).


*** Nota bibliografica:

Per tutte queste definizioni vedi: G. DEVOTO, Avviamento alla etimologia italiana, Dizionari Le Monnier e: J. DUBOIS - M. GIACOMO - LOUIS GUESPIN - C. MARCELLESI - J.P.NEVEL , Dizionario di linguistica - Ed. Zanichelli.
E ancora, per la parte sulla grammatica trasformazionale: F. VANOYE, Usi della lingua, Manuale di italiano per le Scuole Medie Superiori, Società Editrice. Internazionale TORINO .



Per gli insegnanti, sono utili:

E.Cavallini Bernacchi, L'insegnamento della lingua, Il punto emme edizioni , Milano -
N. Chomsky, Le strutture della sintassi, Universale Laterza., Bari


Utili sono i volumi di G. MOUNIN:

Guida alla linguistica, Guida alla semantica e Storia della linguistica (2 voll.), tutti della UE Feltrinelli (n. 626 - 713 e 576/635 della collana ), nonché Didattica dell'Italiano e Strutturalismo linguistico, di A. MARCHESE, Principato).


Schema 5:
Phrase maker ( con GP = ESP )
F


GN1 GV


D N V GP


P GN2


D N


un uomo corre per la strada

qui il GN 1 è il SOGGETTO – il GN 2 è il GRUPPO NOMINALE che, con la PREPOSIZIONE, forma il GRUPPO PREPOSIZIONALE (C0MPLEMENTO DI MOTO PER LUOGO).

Nota: gli AVVERBI. Possono avere la stessa funzione dei GP: ad esempio:

il treno correva a gran velocità
GN V GP
______ GP = prep\agg\nome
= funzionale\modificante\ nome
____________________ ___________ _______________
GN GV

Nella frase possiamo SOSTITUIRE il GP “a gran velocità” con l’avverbio “velocemente”.
Le preposizioni, con le congiunzioni e il pronome relativo, possono chiamarsi
funzionali, o indicatori di funzione,
perché collegano, mettono in relazione, indicandone appunto la ‘funzione’,
GN con un verbo o GN con GP

( preposizione) o GN, GP e frasi tra loro (congiunzione).

Il pronome relativo funge da “raccordo” fra sintagma predicativo principale ed una subordinata.
I nomi rientrano nella categoria dei nominali,
i verbi in quella dei verbali.
Gli articoli appartengono alla categoria dei determinanti o determinativi.
Aggettivi e avverbi a quella dei modificanti, perché modificano, precisano il senso di un nominale o di un verbale.

I verbi essere e avere ausiliari, i verbi servili e fraseologici sono modalità perché precisano un rapporto logico fra GN 1 / 2 e modificante nominale (nome del predicato) o fra GN 1 / 2 e verbale.
Seconda parte

1) La subordinazione: l’aggettivo.


Esaminiamo la frase: un grande albero fu abbattuto
GN GV




un frondoso albero fu abbattuto
GN GV


‘grande’ e ‘frondoso’
sono espansioni, ovvero subordinati o dipendenti concettualmente di ‘un albero’, che è il centro del GN, infatti possiamo eliminare questi due aggettivi o attributi, che sono determinanti o modificanti lessicali, mentre gli articoli sono determinanti grammaticali poiché accompagnano il nominale collocandolo grammaticalmente, senza modificare il significato, senza turbare la struttura della frase.



2) La subordinazione: sintagmi ‘centro’ e sintagmi ‘subordinati’.


Esaminiamo la frase:
Un aereo incredibilmente grande volava a velocità supersonica
__ ___ ____________ _____ _____ __________________
DG N D(M) DL V GP
___________________________ _______________________

Gruppo Nominale ___ Gruppo Verbale
Frase semplice

‘Incredibilmente’ è subordinato di ‘grande’, determinante lessicale, che a sua volta è subordinato di ‘aereo’.
… …
La funzione di questi ‘subordinati’ è quella di arricchire e completare il senso della parola a cui si riferiscono, allargandone, “espandendone” il campo semantico, oppure indirizzandole e precisandolo in determinate direzioni.

Se diciamo:
un aereo di linea


il GP ‘di linea’ è subordinato del GN ‘un aereo’: è una sua ‘espansione’, perché ne delimita, ne precisa, ne espande il significato in una direzione determinata.

L’intensità semantica del GP ‘di linea’ si dirige sul GN ‘un aereo’.
Avverbi, aggettivi, gruppi preposizionali sono perciò dei subordinati, delle espansioni dei GN, dei verbali, dei determinanti lessicali(aggettivi).
Ossia: avverbi, aggettivi e GP sono espansioni, subordinati di GN, oppure di verbi e di aggettivi (verbali e modificanti).

3) Il soggetto: in un enunciato può essere posto un GN il cui nome è legato al verbo nel numero e nella persona. Tale nome, se si tratta di un nome, perché può essere un monema appartenente ad altre categorie, un aggettivo, un verbo,, un avverbio, un articolo e così via, è il soggetto del verbo.
Si parla del sintagma che chiamiamo ‘gruppo nominale 1’ (GN1). Di solito mettiamo in italiano questo gruppo prima del verbo, ossia rendiamo una parola protagonista della frase e la leghiamo al verbo.

In taluni casi, come nell’ anacoluto ( dal greco senza collegamento ) , in cui il GN2 (il complemento oggetto comunemente detto) precede il GN1 (soggetto), che però riafferma la sua natura di

‘protagonista’

riagganciandosi con un pronome (nominale sostitutivo) al GN2.

Ad esempio:

… Coloro che tramontano (GN2), io li (pronome = nominale sostitutivo) amo con tutto il mio amore: perché passano all'altra riva … …

( F. NIETZSCHE, Also sprach Zarathustra, Adelphi a.c. G. Colli, pag. 244 ) .

In questa frase il GN1 (=soggetto) è il pronome personale ‘io’.
Un pronome sostituisce un nome, ed è quindi un nominale sostitutivo.

La frase è una trasformazione della frase complessa:

Sono Zarathustra ed amo … coloro che tramontano … con tutto il mio amore … perché passano all'altra riva ( perché passano all’altra riva = frase subordinata – ESPANSIONE FRASE CAUSALE).

Il pronome relativo (indicatore di funzione) " CHE " collega due frasi subordinandone una:
quelli tramontano
quelli passano all'altra riva
Zarathustra ama
Io sono Zarathustra



Io amo quelli …. amo quelli che passano …. all'altra riva.
…. Amo quelli che tramontano …. Perché passano all’altra riva .
“ PERCHE’ ” è ‘CONGIUNZIONE’.
Indica una funzione causale.

E' un INDICATORE DI FUNZIONE e come tutte le "congiunzioni" subordinative, INTRODUCE UNA SUBORDINATA ( la ESPANSIONE FRASE corrisponde ad una ESPANSIONE "complemento" , ma CONTIENE - in più - UN VERBO ) .



Le ESPANSIONI COMPEMENTO sono introdotte da funzionali preposizioni e sono Gruppi Preposizionali .

Le ESPANSIONI FRASE sono introdotte da
CONGIUNZIONI SUBORDINATIVE.
Le altre congiunzioni - quelle coordinative - servono a collegare tra loro frasi semplici (indipendenti, primarie, principali) o frasi\espansione (subordinate).
Tornando alla frase:

un cane salta un fosso….

GN1 GV
D+N


V GN2


D+N

** “ un cane “ è SOGGETTO.

Il significato della parola " cane ” è il
"protagonista" della frase, che fa da
“ teatro contestuale ”.


Proviamo a dire:
un fosso salta un cane ….

Suona strano ed assurdo.
Ma non in un contesto diverso.
In una fiaba, sarebbe "possibile". Non nella vita quotidiana.

*** In latino, o in greco si può mettere il GN2 (compl.oggetto)
prima del verbo.

Perché i casi permettevano di conservare il senso complessivo e lo dirigevano logicamente nella frase.
In latino posso dire:
Lupus hominem est / hominem lupus est / est hominem lupus.

Sarà sempre il lupo a nutrirsi, in questo tipo di indicazione.
(Fs=Frase semplice=GN+GV).

‘Est’, in latino, vale anche ‘divora, mangia’, non solo ‘è, esiste …’.

Era l’accusativo ‘hominem’ che diceva ai ‘latini’ quale dei due significati dare al verbo, in questo caso.

Il soggetto compie l'azione …. Questa non è una affermazione giusta.
Se dico: ….
L'uomo è mangiato dal lupo

- comprendo che "l'uomo" non compie, anzi, è "vittima" dell'altrui azione.

Sia permesso qui osservare che la retorica delle pecore ‘miti’, dei lupi ‘cattivi’ e dell’uomo sempre ‘vittima’, ma molto bene armata, ha portato in realtà all’estinzione del lupo, animale nobile, intelligente e socialmente elevato, nonché capace di linguaggio, ed al proliferare indiscriminato degli ovini e degli umani, frenato con sistemi che non è comunque da ‘homo gramaticus’ spiegare, anche per evitarne l’uòteriore diffusione.


***
Se dico: Don Abbondio è vile - Don. A. "compie".
Se dico: Don Abbondio fu minacciato - Don. A. non è "attore" del senso dell'azione. Lo è solo "grammaticalmente".

E' il protagonista , la "parola" (Nome proprio, qui), messa in rilievo, proposta dall'attenzione dell'ascoltatore/lettore/RICEVENTE (destinatario del MESSAGGIO).


Quindi diremo che il GNI (SOGGETTO, secondo la tradizione tassonomica grammaticale) è quella parola che viene MESSA IN RISALTO, in evidenza, quale PROTAGONISTA della frase ( ...’teatro contestuale’ ), e che concorda con il verbo.


Questo, ove il soggetto sia espresso.
Ossia quando la frase non sia imperniata su un verbo, o un'espressione, IMPERSONALE (piove …. è giusto fare così …. ) oppure quando il soggetto non sia sottinteso.
2) Le frasi: possiamo dividere ogni enunciato (periodo e discorso fra due punti) in parti corrispondenti ciascuna ad un GRUPPO VERBALE accompagnato da sintagmi (GRUPPI) NOMINALI e PREPOSIZIONALI SUBORDINATI (dipendenti) e comunque legati ad esso.

3) Chiamiamo FRASE ognuna di queste parti.

LE FRASI sono unite da

CONGIUNZIONI COORDINANTI

( INDICATORI DI FUNZIONE COORDINATA ), se unisco frasi semplici fra loro: di notte dormo e sogno (= due frasi semplici unite, coordinate = FRASE COMPOSTA…. ) o

SUBORDINANTI


se unisco uno o più SUBORDINATE (dipendenti, secondarie) a una FRASE SEMPLICE CHE FA DA REGGENTE / PRINCIPALE / INDIPENDENTE / PRIMARIA …. di notte dormo e sogno …. ‘Perché amo riposarmi pensando’.

“ Perché ” è un "indicatore di funzione", introduce una subordinata che arricchisce il "senso" della PRINCIPALE (di notte dormo) coordinata con l'altra frase semplice (anche "principale", ma aggiunta)….’e sogno’.


Le frasi sono unite da congiunzioni e separate da brevi pause segnate con virgole, in genere.
***
Nota:
*** Sono molto usate nel linguaggio parlato le “FRASI A SCHEMA MINORITARIO"
(ossia a schema abbreviato, perché s'intuiscono gli elementi sottintesi già precedentemente pronunciati o facilmente ricostruibili):… "pronto!…." - " al diavolo!…" - "povero me!" - (enunciati derivanti da trasformazioni esclamative di : ‘io sono pronto’….etc). Oppure: "Dove vai?" - "a Scuola !" (enunciati usati nelle risposte, ove si sottintendono gli elementi intuibili).

Anche i titoli, i cartelli pubblicitari, le insegne sono "a schema minoritario": ‘più facile, sarà difficile’… ‘così bianco che più bianco non si può’… ‘chi vespa mangia le mele’.
Così anche per enunciati emessi in momenti di fretta o di concitazione… "quella sciagurata!!…" …"un serpente!…"… et cetera.



4) COORDINAZIONE E SUBORDINAZIONE : Le frasi possono essere unite fra loro dunque dalle CONGIUNZIONI, per ‘polisindeto’ o da segni di punteggiatura, per ‘asindeto’.
Ad esempio:…’noi studiamo e voi giocate’; ‘noi studiamo. Voi giocate’.
LE CONGIUNZIONI (funzionali) COORDINANTI uniscono anche, oltre a frasi, GRUPPI NOMINALI E PREPOSIZIONALI.
Ad esempio….: ‘ho incontrato Carlo e suo fratello’ … ‘ non ho visto né tuo padre né tua madre’.

Le congiunzioni COORDINANTI o COORDINATIVE principali sono le:


- Copulative….: e, anche, pure; né; neanche, neppure, nemmeno.
- Disgiuntive…: o, oppure, ovvero.
- Avversative…: ma, però, anzi, invece, pure, peraltro, tuttavia.
- Dimostrative o dichiarative…..: cioè, infatti, difatti.
- Conclusive…: dunque, pertanto, perciò, quindi, sicché.
- Correlative…: e….e; sia…sia; tanto…. Quanto; così…. Come;


Occorre ricordare che : queste congiunzioni uniscono solo frasi o proposizioni principali , quando uniscono delle frasi.

Osserviamo ora quest'altra frase:
‘non uscimmo di casa per la pioggia’.

Il GRUPPO PREPOSIZIONALE "per la pioggia" è un "subordinato", una ESPANSIONE che "arricchisce" il senso della enunciato-base:


"( noi ) non uscimmo "
“di casa " è complemento di moto da luogo, ‘espansione’ del verbo.


Al posto dell'espansione "per la pioggia" possiamo immaginare una frase intera, che sarà anch'essa in un

RAPPORTO DI SUBORDINAZIONE

rispetto all'enunciato - base (o centrale).
In questo caso AVREMO UNA ESPANSIONE FORMATA NON DA UN SEMPLICE AVVERBIO o AGGETTIVO o GP, MA DA UNA FRASE VERA E PROPRIA, che chiameremo
PROPOSIZIONE SUBORDINATA ( ESPANSIONE frase )

***** La frase da cui dipende si chiamerà PROPOSIZIONE
PRINCIPALE o reggente, o in qualunque altro modo equisemantico


La frase : non uscimmo di casa per la pioggia…
(GRUPPO PREPOSIZIONALE \ COMPLEMENTO DI CAUSA)

Diventa : non uscimmo di casa perché pioveva
(ESPANSIONE FRASE CAUSALE)


Del GP (complemento) "per la pioggia"
Un altro esempio: …

Mario si alzò nonostante la febbre
GN ________________
N V ____GP ____



GV

Il GP "nonostante la febbre" può essere sostituito con una frase SUBORDINATA, previa l'aggiunta d'un VERBO:

Mario si alzò, nonostante la febbre …

Mario si alzò, sebbene avesse la febbre

MARIO SI ALZO' : proposizione principale \ frase semplice.
SEBBENE AVESSE LA FEBBRE: proposizione subordinata alla principale / Concessiva.

Il complesso della due frasi è una FRASE COMPLESSA ( = periodo).

***
Nota :


le FRASI o PROPOSIZIONI SUBORDINATE sono introdotte da parole "invariabili", senza indicare morfematici di genere, numero, tempo, modo e persona, che chiamiamo
CONGIUNZIONI SOBORDINATIVE

(indicatori di funzione subordinata), in quanto subordinano una frase, indicano un suo rapporto di

DIPENDENZA DA UN'ALTRA.




Le principali congiunzioni subordinative sono:
Finali……………...: affinché, acciocché, che, perché, per.
Consecutive……….: tanto da, talmente da, tanto che, cosicché, sicché.
Casuali…………….: perché, giacché, che, siccome.
Temporali……….…: quando, che, allorquando, finché, mentre, allorché,
dacché.
****
Concessive…….…...: sebbene, nonostante, benché, quantunque, allorché.
Dichiarative………..: che, di.
Interrogative e Dubitative: che, se, perché, quando, come.
Modali……………..: come, siccome, quasi, comunque.
Eccettuativa………..: fuorché
Comparativa……….: come, siccome, piuttosto che, più che, tanto che.










***
TERZA PARTE


A. LA PRODUZIONE LINGUISTICA:

1. LA FRASE E SUOI ELEMENTI:
quali sono gli elementi INDISPENSABILI per costruire una FRASE ?
Non basta mettere delle parole "insieme" per comporre una frase. Risulta perciò evidente che NON sono frasi le seguenti successioni di parole:
dico sette cani che lepri ricorrono le…zampino gatta la va tanto lascia lo ladro ci al che…


PER COMPORRE UNA FRASE CHE ABBIA SENSO COMPIUTO O ALMENO VEROSIMILE, O CHE COMUNQUE "SIGNIFICHI QUALCOSA", ANCHE A LIVELLO FANTASIOSO E IMMAGIANARIO, DEBBO COMBINARE LE PAROLE IN UNA DETERMINATA REALAZIONE, in un determinato ORDINE fra di loro, in modo che ne risulti un SENSO da un lato STILISTICAMENTE ACCETTABILE e dall’altro semanticamente e logicamente COMPRENSIBILE.


Perché si verifichi questa data condizione, è necessario che in una FRASE trovino posto ALMENO DUE ELEMENTI INDISPENSABILI,

il SOGGETTO \ GN(1) \ GRUPPO NOMINALE UNO \
ed il VERBO \ GRUPPO VERBALE (predicato VERBALE).

2 .SOGGETTO E PREDICATO: per definire questi due elementi consideriamo le seguenti frasi:

a. Luigi e Maddalena hanno letto su una rivista una poesia interessante.
b. I poeti, che strane creature, ogni volta che parlano è una truffa.


Le parole sottolineate sono, per ordine di successione,

SOGGETTO e PREDICATO VERBALE.
GN1 (Gruppo o sintagma nominale Uno e Verbo).

***
Del SOGGETTO, si è già detto che è quella parola qualsivoglia che indica il "protagonista" della frase: sia uomo, essere animato, cosa, concetto o altro.


IL PREDICATO è un'espressione VERBALE.
Nella frase: ‘a..’ è costituito dall'espressione "hanno letto".
Nella : ‘b.’ da "parlano".
La frase ‘b.’ (Francesco de Gregori - Le storie di ieri) contiene anche un anacoluto.

E' una trasformazione di :
ogni volta che i poeti parlano è una truffa:
quando i poeti parlano \ i pocti sono strane creature.


I pocti parlano - dicono parole / i poeti sono "strane creature"
le parole (di proprietà - di invenzione) dei poeti sono una truffa.


Si tratta di una FRASE COMPLESSA.


In questa frase, invece:
L'Italia è una repubblica


Il verbo (VR) ESSERE appare UNITO ad un NOME.
Chiamiamo l'espressione " è una repubblica " PREDICATO NOMINALE.



" E' ” (classica 3^ Pers.Sing.pres.Ind. - voce del verbo essere )
in questa frase qu è "copula", ossia "unione, legame” , senza un suo proprio e preciso significato o valore semantico
(come i verbi, detti appunto servili, potere, dovere, volere etc.).

"Una repubblica" è il
NOME DEL PREDICATO.



Lo stesso sarebbe se dicessimo:
l'Italia è bella.
E' = copula; bella = nome del predicato.
E' bella = predicato nominale, che meglio dovremmo chiamare:

modificante nominale.

***
*
Se invece dico:
l'Italia è "in crisi", uso il verbo ESSERE con il significato di trovarsi , essere situato/a:
l'Italia si trova in una seria crisi economica
Quindi il VERBO ESSERE può essere "copula" e reggere un predicato nominale, oppure verbo con il senso di "esistere, trovarsi, esser situato, situata", e di conseguenza unirsi ad un GP (complemento).

Il soggetto, quindi, è l'elemento che esprime la persona, il concetto,
la cosa messa in risalto.

Nella frase attiva spesso indica chi "compie" un'azione : Luigi legge.
Ma non sempre:

Luigi prese il raffreddore
o:
Matteo non partì

Luigi e Matteo, più che agire in senso prorpio, subiscono, vivono uno stato o un evento dinamico e non compiono una azione consapevole.

Nella frase passiva il soggetto finisce col subire l'azione.
Ad esempio:
Catullo fu abbandonato da Lesbia.

Ma nella frase:
Euridice fu rimpianta da Orfeo ….

Il piano grammaticale dice come "Euridice" subisca, mentre il senso ci fa intendere come Orfeo agisca spinto dalla costrizione e dal dolore.


Quindi per la "grammatica" in sé e per sé sono corrette ambedue le seguenti frasi:
a. l’uomo paziente mangia la cicoria
b. l'agnello feroce mangia il lupo


… Però per la frase:
a. siamo nella "normalità", mentre per la frase:
b. b. siamo sul piano dell'irreale, dell'incredibile.

***
Sono i piani del realismo e dell'assurdo,
dell'eccezionale e del quotidiano.


Quindi nelle definizioni, ma anche ordinariamente in qualsiasi sede, non dobbiamo mai confondere involontariamente e senza un motivo valido il "senso" con lo "stile".

*** Il soggetto (la parola in primo piano, " protagonista contestuale ") può essere accompagnato dal predicato nominale, in questo caso gli si attribuisce una qualità, uno stato particolare d'essere e di esistere.


* * Il predicato ha la funzione di dire,
di enunciare qualcosa del soggetto.

5) STRUTTURA DELLA FRASE: vediamo ora di individuare la STRUTTURA della FRASE, cioè di verificare la come nella frase SI RISPECCHI IL MODO PROPRIO CON CUI IL PENSIERO SI ORGANIZZA E SI OBIETTIVA NEL FATTO DEL LINGUAGGIO.


6) Esaminiamo la frase: il gatto di Luigi è bello.



Nella "struttura della frase" si può scoprire qualcosa che va al di là di una semplice successione di parole.
Nel contesto del discorso le parole sono prodotte a gruppi di due, tre, quattro, e più.
Fra questi gruppi esiste un legame particolare, determinato nel SENSO che VOGLIAMO dare alla frase.
Questi gruppi che si formano spontaneamente nella nostra mente e che sono collegati del SENSO sono:

"il gatto " - “di Luigi" - “è bello”.



Infatti l' ARTICOLO (DETERMINANTE GRAMMATICALE) si riferisce come un dito puntato alla parola - "gatto".

La PREPOSIZIONE (INDICATORE DI FUNZIONE) "di" è legata al nome "Luigi".

Il verbo (qui: copula) si lega all'aggettivo (DETERMINANTE LESSICALE o "modificante") "bello", formando un PREDICATO NOMINALE o modificante nominale (=VERBO ESSERE ((copula)) + nome del predicato ((nominale/determinante lessicale)) In definitiva il ‘predicato nominale’ può essere chiamato anche

gruppo verbale modificante … oppure
modificante nominale.


Si possono indicare i rapporti di dipendenza con questo sistema:

il gatto di Luigi è bello


GN GP GMN



GN (+GP) + GV



Fs

Questi GRUPPI DI PAROLE collegate dal SENSO si chiamano GRUPPI o SINTAGMI.
I sintagmi nominale e preposizionale - "il gatto" - "di Luigi" - sono collegati fra loro formando un sintagma PIU' GRANDE: "il gatto di Luigi" (GN+GP). Inoltre il sintagma o ‘gruppo verbale modificante nominale’ "è bello" si lega al grande sintagma (o GN+GP) "il gatto di Luigi", formando un unico blocco, cioè una frase.

Possiamo a questo punto stabilire di chiamare il sintagma più grande "il gatto di Luigi" GRUPPO NOMINALE (GN), in quanto le parole che lo compongono ruotano intorno al nome " gatto ".


***
*
Il sintagma verbale può indicarsi come gruppo verbale (GV), perché è costituito da una forma verbale , a cui si può aggiungere un elemento nominale.
Una FRASE è quindi composta da un GN e da un GV, come si può vedere dalla seguente formula:


Fs = GN + GV = Fs = frase semplice



4) STRUTTURA DEL PERIODO:
Esaminiamo ora quell' insieme di frasi che è il periodo.

Scriviamo un periodo:


" Una volta, allorchè da studente cambiai di alloggio, dovetti far tappezzare
a mie spese le pareti della stanza perché le avevo coperte di date "
( Italo Svevo )

Un periodo è composto di proposizioni (tutte contraddistinte da un soggettetto e da un predicato) fra loro collegate e che quindi, per intenderne la STRUTTURA, deve essere selezionato nelle varie proposizioni (o FRASI) che lo costituiscono..
***
Queste proposizioni non sono tutte dello stesso valore.
Alcune sono autonome, nel loro significato ( le principali ) e le altre sono dipendenti da quella autonoma, perché da sole non hanno un senso compiuto si chiamano anche

secondarie, oppure dipendenti o anche subordinate).

Le dipendenti del periodo preso in esame sono:

"allorché da studente cambiai alloggio"
… e
"perché le avevo coperte di date".

La principale che esprime il fatto centrale ed è il centro del periodo, ha significato autonomo. Essa è "Una volta dovetti far tappezzare a mie spese le pareti della stanza".

Rispetto a questa le due proposizioni secondarie sono delle ESPANSIONI, perché esprimono FATTI COLLATERALI E SECONDARI, in qualche modo connessi con il fatto o la sitazione idealmente posti in posizione centrale, espresso dalla principale.


Anche nel periodo quindi, oltre che nella frase, esiste una struttura ordinata, per cui le frasi sono ordinate e collegate fra loro da rapporti di dipendenza "sintattica".
SINTASSI appunto si chiama lo studio delle relazioni che le parole hanno nella frase.
La SINTASSI DEL PERIODO studia i rapporti e le relazioni fra proposizioni principali e secondarie.


**** Schema esplicativo:


PRINCIPALE
Una volta dovetti far tappezzare a mie spese le pareti della stanza

allorché da studente cambiai d’alloggio
= proposizione espansione frase secondaria temporale






perché le avevo coperte di date
= proposizione espansione frase secondaria causale



Nota:
le SECONDARIE ( o DIPENDENTI, o SUBORDINATE ) sono ESPANSIONI introdotte da CONGIUNZIONI SUBORDINATE.

****
6) IL VALORE E LA FUNZIONE DELLE PAROLE:

E’ paradossalmente arduo dare una definizione di quel che chiamiamo ‘parola‘.

*** Si potrebbe dire che è quell' insieme di suoni legati fra loro dal SENSO
complessivo e dalla FUNZIONE che hanno nel contesto del discorso.



Per esempio la parola MELA è costituita dalla sequenza dei fonemi (lettere dell'alfabeto come si pronunziano): ‘ m - e - l – a ’ .

Questi suoni, pronunciati in questo ordine, indicano quel particolare frutto così chiamato: ne sono, insomma, il SIGNIFICANTE.


Il "FONEMA" è l'unità minima fonetica, cioè ogni singolo suono di una lingua, indicato con determinate "lettere" (grafemi, dal greco = scrivo).
Ogni lingua alfabetica ha dei fonemi e dei grafemi particolari.


Vi sono parole che hanno un senso compiuto e altre che servono solo per indicare una FUNZIONE, ossia i rapporti fra le varie "parole" (MONEMI), come dei semplici cartellini segnaletici che suggeriscono al lettore un certo ' modo ' per interpretare le parole che seguono.
Prendiamo l'articolo (DETERMINANTE GRAMMATICALE) ‘ il '.
Si tratta di una parola senza un senso preciso.
Serve solo ad indicare e DETERMINARE la parola che segue. Quando dico 'il giardino', la paroletta 'il' serve per farci intendere che ‘il’ --GIARDINO-- da essa indicato non è ' un qualunque giardino', ma uno certo, determinato, distinto da altri.
E' diverso dire 'il giardino del sultano' da … "ho visto un bel giardino".
In questa ultima frase si vuole indicare in modo 'indeterminato' e vago 'un' giardino, perciò si usa il determinante " UN " (articolo ‘indeterminativo’). Queste 'parolette', e cioè gli 'articoli' (determinanti grammaticali) servono per indirizzare genericamente il SENSO di un'altra parola, restringendo o allargando il 'campo sematico e logico' di un termine .

Consideriamo ora la seguente frase:
‘l'automobile di Anna Maria è nuova’.

La paroletta 'di' indica un rapporto di appartenenza, in particolare l'appartenenza dell'automobile, che è 'di Anna Maria'.
Questa paroletta indica una FUNZIONE : 'Anna Maria' è in funzione di 'automobile.
Le PREPOSIZIONI perciò sono dette FUNZIONALI (o INDICATORI DI FUNZIONE).
Si è già osservato che ad un Gruppo Preposizionale (ESPANSIONE \ 'complemento') corrisponde, fatta la dovuta trasformazione, a una FRASE SUBORDINATA.
Le FRASI SUBORDINATE sono introdotte da CONGIUNZIONI SUBORDINANTI.
Le congiunzioni, quindi, sono anch'esse INDICATORI DI FUNZIONE.

Ad esempio:
non riuscii a scrivere la poesia ……… per mancanza d'ispirazione
proposizione principale espansione causale

non riuscii a scrivere la poesia …… perché mi mancava l'ispirazione
proposizione principale frase espansione causale
subordinata
Nel primo caso si ha una FRASE SEMPLICE.
Nel secondo una FRASE COMPLESSA.

FRASE COMPLESSA= Fs (PRINCIPALE) + X =SUBORDINATA


L'unione tra Fs e X è resa possibile dal
FUNZIONALE (CONGIUNZIONE SUBORDINATIVA)

Le CONGIUNZIONI COORDINATIVE uniscono frasi semplici tra loro, formando FARSI COMPOSTE.
Ad esempio:
Luigi parla +
Luigi cammina=
Luigi parla e cammina

FRASE COMPOSTA= Fs + Fs ( + Fs…..)


Esistono altre parole, poi, che hanno un SENSO AUTONOMO, come: albero, cielo, strada.

Questi monemi indicano un oggetto reale, una persona o un'idea astratta, un concetto.

Si tratta di NOMI e sostantivi.
Possiamo chiamarli NOMINALI .

I 'PRONOMI' possono 'sostituirli'.
Sono anch’essi dei NOMINALI.

Ad esempio:
Catullo vide Clodia e la salutò.

Gli AGGETTIVI sono monemi che si aggiungono ai NOMINALI (NOMI) per precisarne il SENSO.

Sono DETERMINATI LESSICALI, o LESSEMI MODIFICANTI in quanto apportano una modifica, una precisazione ad un nominale.

Il cielo può essere coperto, nuvoloso, celeste, arancione, 'azzurro', lontano….

Sono anche delle

ESPANSIONI,

come i 'complementi' , perché dirigono, fanno 'espandere' in una direzione il senso d'un nominale.

Un cane può essere ‘bello, feroce, mansueto’.

Può anche essere …: ‘di tipo belga, di Mario, da guardia' ….

Classificando le parole in base al loro valore e alla loro 'funzione' si è giunti a considerare le cosiddette PARTI DEL DISCORSO, che, per accennarle soltanto, sono le seguenti:

** ARTICOLO = NOME = PRONOME = AGGETTIVO = VERBO

… parti variabili, in quanto al LESSEMA (TEMA - RADICE) possiamo aggiungere dei MORFEMI (prefissi e suffissi) determinando ' genere, numero, tempo e modo', come ad una 'base' stereofonica possiamo aggiungere diversi accessori per ottenere sofisticati 'effetti'.

** AVVERBIO = PREPOSIZIONE = CONGIUNZIONE INTERIEZIONE

… parti invariabili, perché non sono ' modificabili' con aggiunte di prefissi e suffissi.
Possono, al massimo, agglutinarsi - o fondersi - con un'altra parola.

Ad esempio:
DETERMINANTE.+ FUNZIONE.GRAMMATICALE.= DETERMINANTE FUNZIONALE - DI + IL = DEL …. Le PARTI VARIABILI sono suscettibili, quindi, di 'modificazioni '.
In tal caso si parla di FLESSIONE per AGGETTIVI , NOMI , PRONOMI , e ARTICOLI.

Per i VERBI si parla di CONIUGAZIONE .
NOME :
a. – nome -lup-o (sing. M.)- lup-a (sing. F.) - lup-i (pl. M.) - lup-e (pl. F.):
b. – aggettivo - buon-o (sing. M.) - buon-a (sing. F.) - buon-i (pl. M.) - buon-e
(pl. F.).

c. – verbo :


pronome
singolare
pronome
Plurale

IO CANT- O NOI CANT- ATE
TU CANT- I VOI CANT- IAMO
EGLI CANT- A ESSI CANT-ANO

6 ) INVERSIONE DELLA FRASE :

la frase "il treno arriva" può presentarsi anche nella forma
arriva il treno

Diciamo allora che la frase ha subito una

TRASFORMAZIONE INVERSIONE (T.inv.)

Questa nuova 'struttura' (disposizione delle parole)
si ottiene ponendo il SOGGETTO dopo il predicato.



Es. a) cadono le foglie (GV + GN) / da : le foglie cadono (GN + GV).
Es. b) è arrivato mio zio (GV + GN) / da : mio zio è arrivato (GN + GV).


****
Questa struttura, che è meglio usare solo se nelle frasi è presente solo il GNI (soggetto), a mano che non si usi un ANACOLUTO (come prima detto), è FREQUENTE NELLE FRASI INTERROGATIVE .

Ad esempio …. : è necessaria questa spesa ? (GV + GN). ….
La struttura 'normale' (GN + GV) è detta 'DIRETTA'.


6. LA COORDINAZIONE :



7) LA 'SOMMA' DELLE FRASI: si pensi ad un periodo di questo tipo:

Lucio studia.
Lucio è diligente.

Sommando le due frasi ELIMINIAMO LA RIPETIZIONE DEL SOGGETTO ed otteniamo una FRASE COMPOSTA: ….

Lucio studia ed è diligente.


Abbiamo COORDINATO le due FRASI o PROPOSIZIONI PRINCIPALI.

Chiamiamo …. PRINCIPALI le due frasi perché possono essere separate da una forte pausa (' punto' o 'punti e virgola') e quindi sono AUTONOME.

La congiunzione che coordina le due frasi è la ‘ e ‘ , che fa parte delle CONGIUNZIONI COORDINATIVE .


8) SI TENGA PRESENTE IL SEGUENTE SPECCHIETTO:


a) FRASE SEMPLICE …. :
GN + GV=(D+N) + V +(GN2) =
D + N + V + D + N
****
b) FRASE COMPOSTA :
SOMMA PER COORDINAZIONE DI
DUE O PIÙ' FRASI SEMPLICI.

= Fs+Fs = (GN + GV) + ….



c) FRASE COMPLESSA:

unione di una \ o più \ Fs 'principale\i' con una \ o più \ 'subordinata\e'.

L'unione avviene per mezzo di
FUNZIONALI SUBORDINANTI
o CONGIUNZIONI SUBORDINATIVE = Fs + X (+ X + …. ) .



X è il simbolo della espansione frase subordinata o dipendente


- Catullo scrive poesie ………………………. FRASE SEMPLICE

- Catullo è un poeta ………………………… FRASE SEMPLICE

- Catullo scrive poesie ed è un poeta ………….. FRASE COMPOSTA


- Catullo è un poeta e scrive poesie ……….….. FRASE COMPOSTA

- Catullo scrive poesie perché è un poeta …… FRASE COMPLESSA


- Catullo è un poeta perché scrive poesie …... FRASE COMPLESSA


Così sono complesse le frasi del tipo …

Catullo è un poeta quando \ se scrive poesie

= una proposizione principale unita ad una subordinata da una
congiunzione ( funzionale) subordinativa .



Le FRASI COMPOSTE e COMPLESSE hanno ALMENO DUE PREDICATI.



Es. a) Paul e John cantano.

Es. b) Paul scrive le parole e John compone la musica.



SOLO la SECONDA FRASE è' COMPOSTA, perché HA DUE PREDICATI (VERBALI, in questo caso). La prima frase è SEMPLICE perché LA CONGIUNZIONE unisce non DUE FRASI ma DUE NOMI. Il verbo della frase è uno ("cantano"), quindi la FRASE è UNA SOLA.
Sarebbe una frase SEMPLICE ANCHE SE DICESSIMO:

Paul, cantante dei beatles, e John, appartenente allo stesso "gruppo", cantano?
"Cantante" è participio presente.

Come "appartenente".
Quindi le due ESPANSIONI FRASI in cui si trovano i participi possono considerarsi RELATIVI (cantante = che canta - appartenete = che appartiene).

La frase, invece:

Paul giovane di Liverpool, e John, suo concittadino, cantano

- è SEMPLICE, perché "giovane" e "concittadino" sono due ESPANSIONI che fungono da apposizione/attributo.

Non sono verbi.

Quindi, le ESPANSIONI rendono complessa la frase solo se sono a loro volta dei VERBALI.

"Cantante" e "appartenente" possono anche essere considerati "participi sostantivati". In questo caso, sarebbe SEMPLICE ANCHE LA PRIMA FRASE ANALIZZATA.

Ma il fatto che almeno uno dei due participi possa essere "trasformato" ci consiglia di considerarla COMPLESSA.



9)
GLI " ALBERI " o STEMMI
(PHRASE MARKERS = INDICATORI DI FRASE) :

Esaminiamo queste due frasi.

a) Paolo e Maria leggono (GN + GN + GV) = Fs (frase semplice)
b) Marco studia ed è diligente (GN + GV + GV) (il 2° GV è V Aus. + P. vo
(“Predicativo = Nome del Predicato”)
= *’predicato nominale’) = Frase composta.

Schema n. 6
_________________Frase semplice (a)

GN GV


N F N V
Paolo e Maria leggono

_________________ Frase composta (b )



GN GV
N
G V2



V F V determinante o

modificante nominale

Marco studia ed è diligente

Nella frase (b) analizzata nel phraso marker (= indicatore di frase, perché rende visibile la struttura delle frasi e i rapporti logici grammaticali intercorrenti fra le "parole" ) il GV contiene due verbi:


un Predicato Verbale propriamente detto e un Determinante (o Modificante) Nominale, come si propone di denominarlo, chiamato anche ‘predicato nominale’.


Nella frase (a) la congiunzione (F=funzionale) ‘ e ’ lega due NOMI, che formano così un soggetto unico, composto.
Nella frase (b) la congiunzione ‘ e ’ lega due VERBI, quindi potenzialmente due FRASI, poiché due verbi indicano la presenza di due frasi, coordinate fra loro: risulta un verbo unico, ma COMPOSTO e DOPPIO.
9) LA SUBORDINAZIONE: la FRASE COMPLESSA:
Osserviamo il seguente enunciato:

mentre osservavo le stelle, non mi accorgevo di un gruppo di amici che passava .

Si tratta di una frase complessa, formata da tre enunciati, fusi o uniti tra loro:

- Mentre osservavo le stelle
- Non mi accorgevo di un gruppo di amici
- che passava


I concetti espressi dai tre enunciati sono collegati fra loro. Diciamo dunque che in una frase COMPLESSA ogni enunciato è rappresentato e sostenuto dal verbo, così che nel su interno l’insieme degli enunciati si relazioni in un rapporto di subordinazione alla frase principale.

La PREPOSIZIONE PRINCIPALE è detta anche "Reggente" perché è NECESSARIA per la completezza della frase intera. La SUBORDINATA è detta anche "Dipendente", perché si appoggia alla principale o da essa dipende (è una sua ESPANSIONE FRASE).
Se infatti dicessimo:
mentre osservavo le stelle
(Espansione Frase Temporale),

fermandoci qui, non avremmo una frase di senso compiuto: si tratta di una frase subordinata che si "appoggia" alla principale e la colloca in un determinato spazio temporale.
La Frase Principale (che se fosse sola sarebbe una Frase Semplice) è:
non mi accorgevo di un gruppo di amici …

Questa Frase Semplice (da sola) ha un SENSO COMPIUTO , e potrebbe stare anche da sola , senza l'altra ESPANSIONE FRASE che l'accompagna e l'arricchisce.
IL RAPPORTO DI SUBORDINAZIONE è stabilito da INDICATORI DI FUNZIONE GRAMMATICALE (congiunzioni subordinate).
Le CONGIUNZIONI SUBORDINATIVE, come si è già accennato, hanno quindi una funzione diversa da quelle COORDINATIVE.
Se dico, infatti:

piove - e - sono triste

I due concetti formano una FRASE COMPOSTA. ……Se dico, invece……

sono triste - perché- piove

I due enunciati formano una FRASE COMPLESSA, perché l'enunciato "perché piove" dipende dall'enunciato sono triste : è una ESPANSIONE, una ESPANSIONE FRASE, una proposizione subordinata (x) .
L'Indicatore di funzione che unisce questi due enunciati è, quindi, un SUBORDINATORE.


Prendiamo due enunciati: cammino…. sto bene….
Posso coordinare i due enunciati: …cammino e sto bene…

Formando così una frase composta.



Posso inoltre, introducendo un subordinatore, formare una
FRASE COMPLESSA,
in cui un enunciato (frase, proposizione) dipenda dall'altro in rapporti diversi (di fine, di causa, di tempo, etc…).

- cammino per stare bene/ mangio affinché stia bene/ mangio perché sto bene/ mangio quando sto bene….
-
LE FRASI SUBORDINATE, QUINDI, INTRODUCONO UN'IDEA CHE CONDIZIONA ARRICCHISCE, SPIEGA QUELLA DELLA FRASE PRINCIPALE.

Schema n. 7 FRASE COMPLESSA



Fs = PRINCIPALE o reggente
FRASE X = ESPANSIONE
FRASE SUBORDINATA



GN F GV

GN V
N
V
V
(io) leggo affinché (io) impari
“ “ per “ imparare
frase espansione finale_________________________
“ leggo perché “ imparo
“ “ giacché “ “
“ “ siccome “ “
frase espansione causale________________________
“ “ quando “ imparo
“ “ finché “ “ \ i
frase espansione temporale______________________
“ “ tanto \ così da “ imparare
“ “ in modo tale che “ impari
frase espansione consecutiva____________________
“ “ se “ imparo
“ “ a patto che “ impari
frase espansione condizionale___________________




Chiamando ‘X’ la frase espansione condizionale possiamo scrivere la seguente formula:

Frase complessa =GN+GV+X(+X+X…)

Nota:
la ‘frase espansione‘ può essere implicita se ha il verbo all’infinito, al participio o al gerundio, esplicita se ha invece il verbo all’indicativo, al congiuntivo o al condizionale.


SINTASSI DEL PERIODO:

LA FRASE SEMPLICE (Fs) può essere rappresentata con la formula :

Fs = GN + G V


Il GN è un insieme di parole che si appoggiano alla ‘parola centro’, a quella che indica il ‘protagonista’ della frase, il ‘soggetto’, mentre il GV è un insieme di parole che dipendono dal verbo.
Per esempio:

il cappotto di Antonino è molto bello

GN ESP V +Modificante Nominale
GN GV


La FRASE COMPLESSA è invece costituita da un enunciato principale e da uno dipendente (o subordinato), che rappresenteremo con una ' X '.
Ripetiamo la 'formula' della F. COMPLESSA = Fs + X.
Ricaviamone una frase complessa:

. . . . il portiere si lanciò sull'avversario per fermarlo

F complessa … … = ( Fs ) + ( . . X )

GN = il portiere
GV = si lanciò sull'avversario
Fs = GN + GV

Per fermarlo: frase espansione finale implicita
_ per = indicatore di funzione
_ fermare = verbale
_ lo = (quello) = GN = nominale
. . . . . e ancora:
• oggi non esco perché piove.
_ io = GN
_ oggi non esco = X (frase principale negativa)
_ perché piove = espansione frase causale esplicita (subordinata)
Nota: la SUBORDINATA può anche trovarsi prima della principale:
. . . quando piove, mi sento triste . . .

Frase complessa = X + GN + GV




*** Talora la FRASE ESPANSIONE SUBORDINATA
si trova inserita fra GN e GV:



. . . l'attore, per essere più chiaro, ripeté la battuta . . .



F. compl. = GN + X + GV



RIASSUMENDO :
Abbiamo tre tipi fondamentali di frase:
a) frase semplice: è detta anche 'indipendente', perché ha senso compiuto
Fs = GN + GV = . . . Luigi legge . . .
b) frase composta: è formata da più frasi semplici fra loro coordinate.
Fc = GN + GV + FUNZ. + GN + GV = . . . Luigi scrive e legge c) frase complessa: è formata da una proposizione principale (Fs) e da una espansione frase ( proposizione subordinata ).

Fc = GN + GV + X = . . . Mara legge il giornale mentre Luigi dipinge . . .
Fc = X + GN + GV = . . . Mentre Luigi dipinge, Mara legge il giornale . . .
Fc = GN + X + GV = . . . Mara, mentre Luigi dipinge, legge il giornale . . .

I tipi più frequenti di SUBORDINATE
(FRASE ESPANSIONE)
sono i seguenti:


FRASE ESPANSIONE SOGGETTIVA, FINALE, CAUSALE,, CONCESSIVA, TEMPORALE, INTERROGATIVA, CONSECUTIVA, CONDIZIONALE, COMPARATIVA, RELATIVA.


In genere la FRASE ESPANSIONE SUBORDINATA prende il nome dalla congiunzione indicatore di funzione (FUNZIONALE ) che la introduce.


*** LE TRASFORMAZIONI :


scriviamo una frase semplice


…. Gli uomini amano la giustizia ….

È' una frase "DICHIARATIVA".
Enuncia un fatto che può essere o non essere vero e tuttavia viene presentato come un dato di fatto.
In questa FRASE BASE, frase di partenza, possiamo applicare le seguenti TRASFORMAZIONI:

INTERROGATIVA (NEGATIVA)
* DICHIARATIVA
ESCLAMATIVA (PASSIVA)
o ESPOSITIVA
IMPERATIVA (ENFATICA)

Lo specchietto indica che posso rendere la frase base:

* Interrogativa: Gli uomini amano la giustizia?
* Esclamativa: Gli uomini amano la giustizia!
* Imperativa: Gli uomini amino la giustizia!- Uomini! Amate la giustizia!


Ognuna di queste "trasformazioni" può essere resa:
** negativa:
*** Gli uomini non amano la giustizia.
(Forse che ) gli uomini non amano la giustizia?
gli uomini non amano la giustizia!
gli uomini non amino la giustizia! (uomini! Non amate la giustizia!)


… *** passiva:

*** la giustizia non è amata (oppure: è amata) dagli uomini
(forse che) la giustizia è amata (o: non è amata) dagli uomini ?
La giustizia non (o: è) è amata dagli uomini !
La giustizia non sia (o: sia) amata dagli uomini !

…. *** enfatica:

**** la giustizia, gli uomini la amano ( o: non la amano )
la giustizia, la amano gli uomini? ( o: non la amano gli uomini?)
la giustizia, gli uomini non la amano! (o:la amano!)
la giustizia, la (o:non la) amino gli uomini!
Quindi le trasformazioni ‘interrogativa, esclamativa e imperativa’ operano su di una frase\base dichiarativa. A queste poi si aggiungono, con innumerevoli combinazioni possibili, le trasformazioni ‘negativa, passiva e enfatica’.

Grosseto, 8 02 2006_____

Gennaro di Jacovo
Τετάρτη, 8 Φεβρουαρίου 2006





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